Un ragazzo viene trascinato fuori da una guardia e, cercando di divincolarsi, chiede: “Perché prendete me, perché non qualcun altro?”. Grida che nessuno avrebbe sentito, se uno dei suoi compagni di stanza non avesse filmato la scena. Questo ed altri video stanno circolando da giorni sui social network, resi pubblici da alcuni migranti che tentano di portare all’attenzione dell’opinione pubblica le violazioni all’interno del centro di detenzione tunisino di El-Wardiya, nella periferia della capitale. “La diffusione di queste immagini è accompagna da richieste di soccorso e testimonianze di violenza verbale e fisica e dell’espulsione forzata dei migranti alla frontiera algerina”, denuncia il Forum tunisino per i diritti economici e sociali in un comunicato. Che aggiunge: “La nostra organizzazione ha più volte allertato sulle violazioni commesse in questo tipo di centri. Non è la prima volta“.

Chiamato dalle autorità locali “centro di accoglienza ed orientamento”, la struttura di El-Wardiya di Tunisi non è l’unica di questo genere nel Paese. Ne esiste un’altra a Ben Gardane, a pochi chilometri dal confine con la Libia, dove la crisi umanitaria causata dall’assedio di Tripoli potrebbe presto portare migranti subsahariani e libici a cercare rifugio. Da anni le ong locali e gli attivisti della società civile denunciano non solo le condizioni di vita dei migranti in questi centri, ma l’esistenza stessa di questo tipo di strutture a cui le organizzazioni non hanno accesso. Il centro di El-Wardiya, riservato negli anni 70 per i senza tetto tunisini che raggiungevano la capitale dalle regioni periferiche, dal 2011 ha iniziato ad essere utilizzato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni come centro di smistamento per chi accettava il ritorno volontario dopo un periodo in Tunisia, mentre il paese si trasformava gradualmente da luogo di transito a destinazione.

Ma dal 2014 le nuove strutture dell’Oim avrebbero dovuto rimpiazzare El-Wardiya. Eppure, nel 2019, vi si trovavano ancora 1059 persone secondo i dati resi pubblici dal centro stesso gestito direttamente dallo stato tunisino. Tra gennaio e ottobre dell’anno scorso, 33 nazionalità diverse erano presenti ad El-Wardiya, la maggior parte provenienti da Algeria (36%), Sudan (16%) e Costa d’Avorio (14%). Ancora meno informazioni sono reperibili sul centro di Ben Gardane, a Sud. “Se vieni arrestato in situazione di irregolarità, puoi essere portato nei centri di accoglienza e orientamento, dei veri e propri centri di detenzione. Ma la scelta delle autorità è spesso arbitraria”, spiega Romdhane Ben Amor a ilfattoquotidiano.it, portavoce del Forum tunisino che cerca di monitorare dall’esterno le condizioni di questi centri. Secondo il rapporto pubblicato dal Ftdes proprio su questo tema, “non esistono basi legali o decisioni giudiziarie che permettano di mantenere i migranti all’interno di questi centri prima di essere portati ai confini del Paese e successivamente spinti a lasciare il territorio tunisino nel quadro di attuazione dei programmi di ritorno volontario in cooperazione con l’Oim”.

La Tunisia, infatti, non si è ancora dotata di una legge sul diritto di asilo nonostante gli arrivi siano in continuo aumento anche a causa della chiusura della frontiera marittima sul Mediterraneo. Raggiungere l’Europa è sempre più difficile. Secondo l’Unhcr, nel 2019 sono stati registrati 2066 nuovi richiedenti asilo nel Paese, ovvero il 155 per cento in più rispetto all’anno precedente, la maggior parte provenienti dalla Libia. A questi numeri vanno sommati gli arrivi regolari di chi proviene dai numerosi paesi dell’Africa occidentale dove il visto per la Tunisia non è necessario. Ma sono tanti quelli che, una volta entrati nel paese, non riescono ad ottenere un permesso di soggiorno a causa di procedure lente e costose. E dopo tre mesi di permanenza, chi arriva regolarmente è esposto ad una multa dell’equivalente di 6,50 euro (20 dinari tunisini) per ogni settimana supplementare che nessuno dei migranti è in grado di pagare.

Secondo l’ultimo rapporto dell’ong Merci Corps, sono circa 10mila questi irregolari assenti da qualsiasi statistica ufficiale. “Questo li rende vulnerabili ed esposti al lavoro nero, allo sfruttamento o alla tratta di esseri umani“, denuncia il Ftdes. Proprio tanti di loro, se scoperti, vengono portati nei centri di “accoglienza ed orientamento” per poi essere espulsi. In Tunisia manca infatti un quadro normativo che permetta non solo di tutelare per legge chi cerca rifugio in Tunisia, ma anche di identificare lo statuto legale di questi stessi centri che non regolamentati, dai quali non si sa chi entra e chi esce. “Le autorità tunisine non forniscono un numero ufficiale dei migranti espulsi, ritornati volontariamente o deportati verso il proprio Paese d’origine”, si legge ancora. Ma secondo l’Oim, nell’ultimo anno sono 584 le persone che hanno lasciato il Paese volontariamente. Eppure, come si osserva dai video diffusi in questi giorni, “non è possibile parlare di una scelta libera e volontaria per chi si trova in una situazione psicologica estremamente difficile, dopo un periodo di detenzione e isolamento parenti e persone care senza soldi, documenti, lavoro. Quando bisogna scegliere tra il ritorno volontario o il trasferimento di forza al confine algerino, denuncia il rapporto Ftdes, in tanti scelgono di ritornare”.

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