Mentre sale, inevitabilmente, il numero dei contagi da Sars Cov2 aumenta anche l’ansia e la paura delle persone. L’epidemia, dovuta al coronavirus, ha due facce: una di tipo biologico e una più legata alla mente, cognitiva. “Gli esseri umani – spiega Enrico Zanalda, presidente della Società italiana di psichiatria (Sip) e direttore del dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO3 e – hanno una paura che li accomuna: il timore di essere travolti da un’epidemia. È una paura così radicata da arrivare a far compiere azioni incontrollate, quelle di chi non sa più cosa fare e le prova tutte per salvarsi. Questo timore atavico è amplificato dall’infodemia, la diffusione virale e velocissima, che in passato non esisteva, di notizie parziali e contraddittorie, quando non addirittura false, che può causare un crollo di fiducia nei rapporti tra le persone e nelle istituzioni, e rendere più potente l’effetto sulla psiche di un fenomeno che è sempre esistito”.

“In Italia, che è il paese europeo con il maggior numero di casi accertati – spiega il professore Massimo Di Giannantonio, presidente eletto della Sip e ordinario di psichiatria all’Università di Chieti-Pescara – si registrano ingiustificate ed eccessive reazioni psicologiche alla diffusione di notizie sul virus, unitamente alle misure che le autorità hanno assunto al fine di contenere il contagio. Un mix ansiogeno che ha modificato le nostre abitudini e la percezione di salute e benessere individuale. Non siamo dunque ‘attaccati’ solo da un virus influenzale severo ma anche da una epidemia cognitiva che rischia di generare non solo spavento e confusione ma anche panico di massa e ansia da untori”. “Ciascuno di noi – prosegue Zanalda – si è interrogato sulle motivazioni di misure così drastiche: la chiusura delle scuole delle chiese, dei musei, la sospensione degli eventi culturali e sportivi. Tutte cose che ci rendono in qualche modo più fragili davanti ad una minaccia invisibile. Più che la malattia in sé ciò che si teme è la paura del contagio sia dalle che verso le persone con cui veniamo in contatto come familiari, colleghi, amici”.

Ad accrescere i timori, sottolinea la Sip, si registrano nel mondo casi di suicidi derivati dalla difficoltà di gestire la pressione psicologica determinata soprattutto dai social media, dove impazzano video su momenti di panico collettivo come assalti a supermercati e strade deserte. Un cinese di Wuhan, contagiato dal coronavirus e non accettato in ospedale per sovraffollamento, si sarebbe suicidato per evitare di rientrare a casa e poter contagiare i propri familiari. Un’altra segnalazione viene dall’Arabia Saudita dove, a Gedda, un cinese sottoposto ad uno stretto isolamento in ospedale si sarebbe suicidato nonostante fosse negativo ai test del coronavirus. Pare non abbia sopportato la condizione di isolamento estremo a cui era stato sottoposto. Un indiano di 50 anni si è ucciso perché convinto di essere infetto dal coronavirus, nonostante i test fossero negativi e non fosse in isolamento poiché portatore di una semplice infezione urinaria. “Queste tre segnalazioni – concludono gli esperti – contengono tre reazioni estreme a pericoli differenti, collegati allo stato di allarme determinato dalla infodemia. Soprattutto nel comportamento suicidario delle persone più fragili vi sono emulazioni ed influenze da accadimenti esterni che determinano il compimento di un atto individuale disperato. Tuttavia, al di la di questi casi estremi, la infodemia incrementa lo stato d’ansia, i pensieri ipocondriaci, e influenza contenuti deliranti con comportamenti emotivi conseguenti”.

Per arginare l’ansia la Società italiana di Psichiatria (Sip) ha messo a punto le regole ‘anti-panico’ e lancia un appello a “non stravolgere le abitudini quotidiane”. Attenersi alle comunicazioni ufficiali delle autorità sanitarie; affidarsi solo alle testate giornalistiche autorevoli; non fare tesoro di ciò che si intercetta online e sui social media, soprattutto se ‘condiviso’ da amici solo virtuali, che in realtà non si conoscono davvero, e se non accuratamente verificato; rivolgersi al proprio medico e non fare domande su gruppi social, chiedendo opinioni; riconoscere che le cose ‘spaventose’ che attraggono la nostra attenzione non sono necessariamente le più rischiose; contenere la paura ed evitare di prendere decisioni fino a quanto il panico non è passato; se compaiono sintomi come panico, ansia o depressione rivolgersi allo specialista per un’adeguata diagnosi.

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