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Mamma riabbraccia la figlia morta a sette anni grazie alla realtà virtuale: ecco come è stato possibile

di Kevin Ben Alì Zinati

“Che vuol dire reale?”. Se Matrix e la neuro-simulazione interattiva in cui vivono gli esseri umani erano solo un film, l’esperimento prodotto in Corea del Sud dalla Munhwa Broadcasting Corporation e intitolato “I met you”, non è solo un documentario. Perché Jang Ji-sung grazie alla tecnologia digitale ha potuto riabbracciare la sua Nayeon, la figlia persa per un male incurabile a soli sette anni. Questo perché la realtà virtuale oggi è sempre più presente nel quotidiano e a grandi passi sta rivoluzionando diversi aspetti delle nostre vite, tra cui il concetto di perdita e di lontananza. L’emittente sudcoreana ha ricreato in una simulazione l’immagine digitale della piccola Nayeon e ha dato alla mamma Jang gli strumenti per entrare nel sogno: un visore VR e dei guanti capaci di replicare le sensazioni tattili.

Quando il mondo virtuale si è acceso, Jang non poteva credere ai propri occhi: davanti a sé aveva la sua Nayeon. Qui la realtà virtuale è diventata reale, insieme mamma e figlia hanno trascorso una giornata intera, dalle prime nostalgiche e commoventi carezze fino alla torta e alle candeline che Nayeon è riuscita a spegnere per il compleanno, tutto sotto un cielo colorato e la luce delle stelle. Mentre Jang e Nayeon ridevano di nuovo insieme, il papà e le sorelle della piccola osservavano, piangevano, tornavano piano piano alla vita dopo la morte, in un equilibrio tra sogno e veglia. Il documentario ha richiesto circa 8 mesi di lavorazione per ricostruire l’aspetto e la voce della piccola mentre con la motion capture sono stati riprodotti i movimenti e le espressioni del viso. Da Matrix a Black Mirror, i film spesso hanno mostrato i limiti e le pericolose derive che scienza e tecnologia possono prendere ma allo stesso tempo le hanno ispirate ad andare sempre un po’ più in là. E oggi, una volta di più, dobbiamo chiedercelo: che cosa vuol dire reale?

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