Ho avuto la fortuna di conoscerlo.

Un giorno mi telefona chiedendomi se mio padre poteva essere disposto a disegnare una confezione dei suoi panetti. Mio padre lo richiama e si mettono d’accordo per incontrarsi; Giuseppe gli parla con un entusiasmo contaminante dei suoi grissini, dei prodotti che ci mette, di come ha organizzato la sua fabbrica… Mio padre realizza un disegno e glielo dà ma decide che non vuole soldi, lo fa per simpatia; lo aveva affascinato quest’uomo schietto, di una certa età ma con in testa una selva di capelli corti e bianchi.
E allora Giuseppe decide di fare una grossa donazione al Comitato il Nobel per i Disabili.
Mio padre si commuove e nasce un’amicizia.
Anche io lo incontro più volte, a Milano e a Cesenatico, e poi dovendo recitare vicino a Conegliano lo vado a trovare.

Giuseppe aveva iniziato a studiare volendo prendere la strada della pittura e della scultura. Ma ad un certo punto si rende conto che la sua famiglia è in una grave situazione economica e così abbandona tutto e si mette gestire la piccola panetteria fondata dal padre per riuscire ad appianare una montagna di debiti.
Ci impiega 10 anni di lavoro sfiancante. Poi prende un fiato e si mette a ragionare sulla vita che sta facendo lui e i panettieri che lavorano nel suo forno: lavorare di notte è pesante…
Gli viene l’idea di produrre qualche cosa che si possa cuocere di giorno e che non abbia l’urgenza di essere venduto immediatamente.
Nascono così i Bibanesi, dei grissini grassi e corti che però lui chiamava “panetti” e se gli dicevi che erano grissini ti guardava male.
Per riuscirci si mette a sperimentare per mesi, maniacalmente.

Mi accompagna a visitare la fabbrica dove ha creato una tecnologia basata su un amore forsennato per il risultato.
Mi spiega come ha scelto l’olio, la farina, perché ha creato una specie di ferrovia in miniatura, che sale e scende seguendo tornanti fitti, dove la pasta del pane lievita, percorrendo quel dedalo lentissimamente. E poi i forni, ventilati e rotanti (dei mostri) che devono scioccare i panetti creando una corazza che li rende croccanti e impermeabili all’umidità, grazie a una dose esorbitante di olio d’oliva di quello vero.
E poi c’è la questione dei filamenti di glutine che se li fai strapazzare da una macchina poi si rovinano e il Bibanesi risulta privo di struttura. Dice proprio “struttura”… Ma è mai possibile che un grissino abbia anche la struttura? Io lo guardo e mi pare di ascoltare un extraterrestre del pianeta Sfilatino.

Ma lui con il glutine non ci scherza: i panetti li fa tirare a mano, con delicatezza, uno per uno e per questo poi sono tutti diversi. E siccome un’operaia può avere bisogno di assentarsi ma mica puoi fermare la linea produttiva, allora c’è sempre pronta un’altra donna per le sostituzioni. E siccome c’è il problema di sollevare le teglie, e sono pesanti, si inventa un portateglie con le molle grazie alle quali non ti devi mai chinare perché salgono da sole al livello del bancone e la sera non hai mal di schiena.

E poi c’è il fatto che una fabbrica senza fiori non mette allegria e allora riempie i reparti di piante e già che c’è anche di dipinti.
Infatti lui non ha abbandonato la passione per la pittura e la scultura. Durante le vacanze va in Africa a scavar pozzi per l’acqua e decorare le chiese con le sue sculture di Gesù… Hai presente quei cristiani che prendono sul serio quella sciocchezza dell’amare il prossimo tuo? Ecco quella cosa lì…

Un giorno incontra Carlo Petrini, gli fa assaggiare i suoi prodotti e Carlo gli dice: se continui a farli così ti do una mano io! Anche lui non gli chiede soldi. È che Giuseppe fa proprio simpatia! Come fai a non sostenerlo?!? Il successo diventa clamoroso. I figli Francesca, Armando e Nicola lavorano con lui in azienda. Insieme sono una squadra solidale… Grande fortuna avere figli così… E lui riconosce sempre il merito alla sua amatissima moglie, Adriana, donna meravigliosa e cuoca scioccante. Sono vegetariano ma di fronte alle sue guancette di vitello cotte per ore nel sugo e nel vino ho (ec)ceduto!

Il successo cresce continuamente. E Giuseppe si può permettere dei lussi. E visto che in fabbrica i bambini danno allegria ma lui è contrario al lavoro minorile, inizia a invitare le scolaresche a vedere come si fa il pane e guida lui i ragazzini nella visita ai reparti… E io gli disegno un fumetto da regalare ai bambini con i Bibanesi che diventano pupazzetti e il racconto della sua linea di produzione.

Fin quasi dall’inizio le confezioni dei Bibanesi diventano un veicolo di arte. Gli specialisti del marketing gli dicono che è un pazzo a metterci sopra i quadri di Raffaello o i disegni di Altman, Forattini e tanti altri… Ma lui usa i sacchetti dei panetti per portare nelle case l’arte e la pubblicità delle mostre di pittura che gli piacciono di più.
Tanto, dice, se i Bibanesi sono buoni li comprano anche se cambia la confezione una volta al mese!
Ma cambiare confezione costa di più! Gli dicono gli esperti.

L’arte non ha prezzo. Dice lui.

In questo periodo di malattia, terribile, l’ho sentito spegnersi lentamente sempre però capace di un guizzo, una battuta, e di dirmi una parola quando a essere giù di corda ero io… E tante volte mi sono chiesto se al suo posto, di fronte a una morte certa e dolorosa, io non avrei preferito finirla alla svelta col famoso pillolone svizzero.
Ma lui no, lui ha voluto vivere fino all’ultimo secondo disponibile il miracolo di stare sulla terra.

Spero che abbia ragione lui che diceva che Dio esiste ed è pure simpatico. Certo fare il Dio dev’essere un’attività piena di problemi. Di sicuro comunque in Paradiso adesso la questione dei grissini l’hanno risolta. Buon pane, Giuseppe!

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