di Luigi Manfra*

Gli Harraga (traduzione letterale: coloro che bruciano le frontiere) sono quei giovani algerini, marocchini e tunisini che decidono di emigrare in Europa illegalmente. Khaled, un cantante molto noto nel Maghreb, su queste partenze disperate ha scritto una canzone nella quale un padre piange i suoi figli periti nella traversata del Mediterraneo.

I giovani harraga sono effettivamente preparati a correre rischi, ma non sono suicidi. Uno dei miei colleghi africani li ha descritti come “guerrieri mentalmente preparati a tutti i rischi”, ma gli esperti algerini non hanno trovato alcun atteggiamento suicida.

Il grande disagio degli Harraga non può essere ridotto al problema della disoccupazione. I giovani non vanno necessariamente in cerca solo di lavoro, ma vogliono una vita dignitosa in un clima di libertà che oggi il loro paese non offre, e quindi non sono soltanto giovani disoccupati pieni di speranza o uomini pronti a rischiare la vita. Avere un tetto sopra la testa, e mangiare a sufficienza, non è abbastanza per loro. Vogliono vivere. E non credono nelle promesse. Le nuove generazioni vogliono cambiamenti veri e tangibili. È, dunque, una partenza per vie illegali, che si vuole definitiva. Netta recisione di un prima e di un dopo, rappresenta l’atto estremo di chi non ce la fa più a continuare a vivere nelle condizioni in cui si trova.

Nei fatti, i migranti algerini sono pronti ad adattarsi a ogni circostanza pur di rispondere a quella sensazione di frustrazione descritta dai giovani algerini come hogra. Termine intraducibile in italiano, che i giovani algerini usano per descrivere il sentimento di impotenza e disadattamento che vivono in un contesto sociale percepito come distante e privo di prospettive.

Nonostante la buona crescita economica, l’economia algerina vive fondamentalmente di esportazioni di idrocarburi, settore a bassa intensità di manodopera, che non riesce ad assorbire se non marginalmente i giovani, che di conseguenza si trovano disoccupati e privi di prospettive. Per molti giovani, queste difficoltà si sommano a quella di vivere in una società in progressiva islamizzazione a partire dalla fine della guerra civile nel 2002, quando gli islamisti riuscirono a legittimarsi a livello popolare aiutando materialmente la popolazione.

Con l’affievolirsi dell’Hiraq, la protesta pacifica che ha caratterizzato il paese per l’intero 2019, la rotta migratoria Algeria-Sardegna ha ripreso vigore con sbarchi a raffica sulle coste del Sulcis. Barchini più o meno grandi che, dall’inizio dell’anno, hanno portato in Italia quasi 200 persone, circa un terzo di quelle complessivamente sbarcate in tutta Italia. E infatti gli algerini sono balzati saldamente in testa tra le nazionalità dei migranti approdati nel 2020.

Gli sbarchi nel Sulcis dall’Algeria sono cominciati nel 2005. Il picco è stato nel 2017 con 2141 persone. Poi sono scesi a quota 1088 nel 2018. Il dato del 2019 è di 878 sbarchi. Spesso si tratta di sbarchi fantasma, migranti che approdano direttamente sulle coste della Sardegna meridionale navigando sulla rotta algerina, solitamente a bordo di imbarcazioni di fortuna. Su questa rotta, abbastanza breve e certamente meno rischiosa di quella del Mediterraneo centrale, arrivano soprattutto algerini. Il flusso è sempre stato costante negli ultimi anni ma adesso sembra in aumento.

Che il traffico verso la Sardegna sia aumentato lo dimostrano centinaia di arresti da parte delle autorità algerine negli ultimi tre mesi e i numerosi morti in mare, tanto che ad Algeri il ministero degli affari religiosi in dicembre ha emesso una fatwa (parere religioso) per sconsigliare le partenze. Ma finora nulla, neppure gli ammonimenti impartiti da alcuni imam nelle preghiere del venerdì, sembra frenare la corsa all’Europa, miraggio non solo dei disoccupati ma anche di studenti che abbandonano gli studi, commercianti che chiudono bottega, impiegati che sperano di trovare altrove la realizzazione che non trovano nel loro paese. Ci sono anche donne che tentano di sfuggire alle dure regole imposte dalla tradizione e da una lettura troppo rigida del codice della famiglia.

Il fenomeno sta assumendo proporzioni inquietanti, tanto che la Marina nazionale algerina ha rafforzato il controllo delle coste. Dissuadere i candidati all’emigrazione clandestina dal tentare un’avventura tragica in mare è l’obiettivo di una nuova strategia del governo, che ha lanciato una campagna di sensibilizzazione invitando i cittadini a denunciare alle autorità competenti qualsiasi movimento sospetto, ogni tentativo di imbarco. Si tratta, secondo la doppia morale dei servizi di sicurezza, di cooperare “per salvare vite umane”. Sembra una eco delle parole di Salvini che, da ministro dell’Interno, a fronte del fenomeno immigratorio, usava la stessa espressione.

* Responsabile scientifico del Centro studi Unimed, già docente di Politica economica presso l’Università Sapienza di Roma

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