“Se cade Tripoli, cadranno anche Tunisi e Algeri”. Sono passate due settimane da quando il ministro dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj ha lanciato l’avvertimento. Se durante la conferenza stampa convocata a Tunisi Fathi Bashagha ha deciso di interpellare i vicini è perché sa bene che la stabilità regionale dipende dalla capitale libica. Come in passato, non l’Europa, non l’Italia, ma Tunisia e Algeria in primis, due paesi con cui la Libia condivide la frontiera ad ovest in una zona desertica e difficilmente controllabile, si trovano ad affrontare le conseguenze di un’altra guerra nel Paese. Così, da qualche settimana, la Libia torna ad occupare le prime pagine dei quotidiani locali.

“Tripoli, Tunisia, Algeria e Turchia coopereranno insieme per garantire la stabilità regionale”, ha concluso Bashagha, mentre Recep Tayyip Erdogan atterrava all’aeroporto di Cartagine per una visita a sorpresa al presidente tunisino a fine dicembre. Tema dell’incontro: proprio la Libia. Due giorni dopo, il 27 dicembre, il presidente turco annunciava di voler intervenire militarmente a sostegno delle milizie alleate al governo di Tripoli. In Tunisia, Paese che ufficialmente si mantiene neutrale, molti hanno interpretato la visita del leader turco come un tacito accordo Tunisi-Ankara. Senza il sostegno di un Paese confinante, infatti, un’eventuale operazione militare turca in Libia potrebbe rivelarsi più complicata. Ma dopo diverse polemiche e perfino una richiesta di seduta plenaria in parlamento per “chiarire la posizione ufficiale della presidenza tunisina”, il neoeletto Kais Saied è stato costretto a intervenire. E ha assicurato: “Il presidente turco non ha chiesto alla Tunisia di utilizzare lo spazio aereo e marittimo per condurre operazioni in Libia”.

Un ruolo diplomatico?
Il voto positivo del Parlamento di Ankara per un intervento militare in Libia ha riacceso la polemica. Anche in Algeria il ministro degli Esteri, Sabri Boukadoum, si era detto infastidito dalla presenza turca: “La soluzione può essere soltanto intra-libica. Algeri non accetterà la presenza di una forza straniera alle porte del Paese”. Eppure lunedì 6 gennaio l’altro neoeletto presidente, l’algerino Tebboune, ha ricevuto il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu per “discutere della cooperazione regionale”. Nella stessa occasione erano presenti anche diversi esponenti del governo di Fayez al-Sarraj. Mercoledì 8 gennaio, invece, è stato il turno di Luigi Di Maio che ha incontrato alcuni esponenti del governo algerino dopo aver visitato il Cairo e prima di recarsi a Tunisi, sempre nel tentativo di organizzare un incontro tra attori regionali. “Appena atterrato – ha scritto il capo della Farnesina su Facebook – L’Italia porta l’Ue ad Algeri. Sono infatti il primo ministro europeo a far visita al nuovo governo algerino. Continuiamo a lavorare senza sosta per la stabilità della Libia e del Mediterraneo”. E dopo l’incontro ha aggiunto: “Il lavoro che l’Algeria fa ai confini della Libia è un lavoro di cui giova tutto il Mediterraneo. Previene le infiltrazioni terroristiche e monitora una situazione che è sempre più incandescente”.

Mentre il tentativo di ingerenza della Turchia continua a far discutere deputati e opinione pubblica dei paesi confinanti con la Libia, sono in molti a sperare che, con la fine dell’era Bouteflika, l’Algeria possa tornare a giocare un ruolo diplomatico nella crisi libica. Dopo la conferenza di Skhirat del 2015, che aveva visto il Marocco protagonista, Algeria, Tunisia ed Egitto hanno tentato nel 2017 di elaborare un progetto di accordo tra le parti libiche. Invano. Quest’anno, però, Algeri assicura di voler “portare avanti diverse proposte per un’intesa”. Inizialmente escluso, il Paese prenderà invece ufficialmente parte alla conferenza di Berlino sulla Libia, mentre la Tunisia attende ancora l’invito ufficiale di Angela Merkel. L’ex primo ministro, Ahmed Maiteeq, ha detto apertamente che spera “in un ritorno dell’Algeria nel dossier libico”. Non a caso il paese appartiene allo schieramento anti Khalifa Haftar, “un golpista arrogante” secondo l’ultima descrizione dell’agenzia di stampa governativa algerina. Ancora nel settembre 2018, dopo un’incursione dell’esercito algerino in Libia, il maresciallo aveva minacciato i vicini: “Possiamo trasferire la guerra da est a ovest in pochissimo tempo”. Come è avvenuto qualche mese più tardi.

Emergenza e crisi umanitaria
L’accordo tra Erdogan e al-Sarraj ha segnato un punto di svolta nel contesto regionale. Per paura di un rapido evolversi del conflitto – con Haftar affiancato da Egitto, Emirati Arabi Uniti, Russia e Francia – entrambi i governi maghrebini hanno previsto di rinforzare la presenza militare lungo il confine. Dal 2016 ad oggi, i militari algerini che pattugliano la zona est del paese per un totale di circa 1000 chilometri sono passati da 30mila a più di 50mila unità. Ma la frontiera – anche dal lato tunisino, più vicino alla zona di Tripoli – resta porosa: a Medenine, città nel sud del Paese della rivoluzione dei gelsomini, lunedì è stato bloccato un carico di armi di fattura turca provenienti proprio dalla Libia. Quanto all’Algeria, l’esercito ricorda ancora l’attacco all’impianto di estrazione del gas a Tigantourine, a gennaio 2013, quando alcuni miliziani affiliati ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) e basati in Libia hanno sequestrato 800 persone.

In Tunisia, lo stato di emergenza è stato nuovamente rinnovato il 30 dicembre. “Le nostre forze di sicurezza sono pronte. Bisogna prepararsi a un’infiltrazione di terroristi tra i rifugiati che arriveranno”, ha dichiarato Kais Saied durante l’ultima seduta del Consiglio di sicurezza nazionale, precisando che un piano è pronto in caso di peggioramento della situazione. Oltre alla questione sicurezza, si teme soprattutto una nuova crisi umanitaria. Per questo il governo tunisino, in collaborazione con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), ha previsto l’apertura di un nuovo campo profughi nei pressi di Tataouine, a pochi chilometri dal confine con la Libia. Una notizia che circolava da tempo e che, confermata, ha subito creato polemica: “Condanniamo le politiche internazionali ed europee che hanno aggravato la crisi in Libia e che, tramite un processo di esternalizzazione, hanno chiuso le proprie frontiere portando la Tunisia ad assumersi l’intera responsabilità dei rifugiati che fuggono dalla Libia“, ha denunciato Abderrahmane Hedhili, presidente del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes).

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