La Turchia torna a sfidare la Russia e, soprattutto, il regime di Damasco. Questa volta il terreno di scontro non è la Libia, dove Recep Tayyip Erdoğan aveva inviato i suoi militari a sostegno del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite, contro il generale Khalifa Haftar, appoggiato da Mosca, dall’Egitto e dagli Emirati Arabi, ma la Siria, dove i militari di Vladimir Putin e quelli di Bashar al-Assad stanno conducendo una dura offensiva nell’ultima roccaforte ribelle di Idlib. Offensiva definita “criminale” da Ankara che così ha deciso di intervenire anche su questo terreno di scontro, confermando così i suoi legami con una parte dei gruppi ribelli che sono passati sotto la sua protezione nelle campagne militari del nord, ad Afrin e nel resto del Rojava. Almeno cinque soldati turchi e 30-35 siriani sono morti dall’inizio, pochi giorni fa, del nuovo dispiegamento voluto da Erdoğan, e la tensione è già così alta che proprio il Paese della Mezzaluna ha deciso di interrompere i pattugliamenti congiunti Ankara-Mosca nel nord-est, iniziati dopo l’invasione del Rojava, a ottobre.

La decisione del governo turco è arrivata proprio in seguito all’uccisione, nella mattinata di lunedì, di almeno cinque loro militari e tre civili sotto le bombe del regime. Raid a cui Ankara ha immediatamente risposto con la propria artiglieria che, secondo fonti militari turche, ha ucciso tra i 30 e i 35 soldati di Damasco: “Voglio dire alle autorità russe che il nostro bersaglio non siete voi, ma il regime. Non opponetevi”, ha avvisato Erdogan invitando gli uomini di Putin a non opporsi alla rappresaglia contro Damasco. Tema al centro anche di una telefonata tra i due ministri degli Esteri, Mevlut Cavusoglu e Sergej Lavrov. Ma la decisione di aprire uno scontro sul campo con gli uomini di Assad compromette inevitabilmente i rapporti tra Ankara e Mosca. Non solo nella provincia di Idlib, ma anche sulla sponda est dell’Eufrate, dove le due potenza hanno fino a oggi collaborato. E la decisione di interrompere i pattugliamenti va proprio in quella direzione.

“La Turchia ha risposto e continua a rispondere a questo attacco con forza. Non possiamo restare in silenzio mentre i nostri soldati vengono uccisi. Continueremo a chiederne conto”, ha detto Erdogan parlando alla stampa prima di imbarcarsi per Kiev, dove oggi partecipa all’Alto consiglio strategico tra Turchia e Ucraina. Parole simili a quelle pronunciate il 31 gennaio, quando ha ipotizzato l’intervento militare nella provincia di Idlib. Poi, dalla capitale ucraina, il presidente ha ribadito che le ripercussioni sul regime di Damasco non sono finite: “Li abbiamo fatti pagare e continueremo a farli pagare per quello che hanno fatto”.

Il presidente turco ha anche fornito alcune specifiche riguardo alla risposta militare: un attacco misto dell’artiglieria e di caccia F-16 che ha preso di mira “circa 40 postazioni” del regime di Damasco individuate dai servizi segreti. “Quelli che mettono alla prova la determinazione della Turchia con questo genere di attacchi capiranno di aver commesso un grave errore. Il nostro Paese è determinato a proseguire le operazioni per garantire la sicurezza del nostro popolo e dei nostri fratelli a Idlib”, ha concluso il Sultano, facendo riferimento ad alcuni gruppi ribelli e alle centinaia di migliaia di sfollati fuggiti dall’area degli scontri. Solo nell’ultima settimana, riferisce Muhammad Hallaj, direttore del Coordinamento per la risposta alle operazioni in Siria, organizzazione vicina ad Ankara, sono 151mila le persone costrette ad abbandonare le proprie abitazioni e a dirigersi verso il confine turco a causa degli scontri. Secondo la stessa fonte, da inizio novembre, quando è ripresa l’offensiva governativa, gli sfollati sono in tutto 692 mila.

Da Mosca, però, accusano la Turchia di non aver fornito la posizione delle proprie truppe a Idlib, circostanza che ha poi causato l’uccisione dei soldati nei raid di Damasco: “Le unità turche – afferma il ministero della Difesa citato dall’agenzia Interfax – sono state spostate all’interno della zona di de-escalation di Idlib nella notte tra il 2 e il 3 febbraio senza avvertire la parte russa e sono finite sotto il fuoco aperto dai governativi contro i terroristi a ovest di Serakab“. L’esecutivo ha poi aggiunto che “il contingente russo e il comando turco stanno mantenendo un contatto continuo”.

Anche l’Unione europea ha voluto mandare un appello al regime siriano e all’esercito russo riguardo alla nuova offensiva nella provincia di Idlib: “Recenti attacchi a Idlib in Siria”, la Commissione europea ha lanciato un “appello a tutti gli attori, in primis il regime siriano e anche al partner che lo sostiene, la Russia, a fermare i costanti attacchi aerei e i bombardamenti contro la popolazione civile in quanto producono sofferenza alla popolazione e alimentano i movimenti dei rifugiati”, ha detto un portavoce di Palazzo Berlaymont precisando che la sofferenza della popolazione è “motivo di grande preoccupazione per l’Ue, ci appelliamo affinché cessino le azioni militari nella regione e si arrivi ad una soluzione politica”.

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