Cultura

George Steiner morto, lo scrittore franco-americano aveva 90 anni: indagò la crisi della cultura occidentale e l’Olocausto

Cresciuto in una famiglia ebrea emigrata negli Stati Uniti, ha insegnato in molte università europee e americane e ha scritto per il "Times" il "New Yorker" e "The Economist"

di F. Q.

Nei suoi libri ha indagato il rapporto tra cultura, barbarie e potere, concentrandosi soprattutto sull’Olocausto e sui totalitarismi: George Steiner, saggista, docente e critico letterario, è morto a Cambridge a 90 anni. La notizia della sua scomparsa è stata data dal figlio David Steiner all’edizione online del “New York Times”.

Steiner nacque a Parigi il 23 aprile 1929 da una famiglia di origine ebraica, scappata dall’Austria per il dilagare dell’antisemitismo. Emigrato negli Stati Uniti da bambino, ha studiato a cavallo dei due continenti, coltivando un profondo rispetto per i classici e per i grandi del pensiero, della musica, della letteratura e delle arti. Ha assistito in prima persona alla distruzione della cultura ebraica da parte del nazismo e, da adulto, ha portato avanti un’intensa ricerca sulla crisi della cultura europea occidentale. Nella sua lunga carriera ha insegnato in prestigiose università come Princeton, Stanford, Chicago. È stato professore di inglese e letteratura comparata all’Università di Ginevra, dove poi è divenuto professore emerito. Nel 1994 è stato il primo “Lord Weidenfeld visiting professor of Comparative literature” alla Università di Oxford.

Negli anni ’50 è stato membro dello staff di “The Economist” a Londra, poi è diventato il critico letterario del “New Yorker” e ha collaborato al supplemento letterario del “Times”. Autore di moltissimi saggi, nel suo lavoro ha affrontato il paradosso del potere morale della letteratura e la sua impotenza di fronte a un evento come l’Olocausto. I suoi libri sono stati tradotti in una decina di lingue. Tra i suoi lavori più celebri: “Tolstoj o Dostoevskij”, “Linguaggio e silenzio”, sulla corruzione del linguaggio come espressione della ferocia del totalitarismo. O ancora “Nel castello di Barbablù” dove indica l’Olocausto come il momento in cui hanno smesso di coincidere progresso e cultura.

Immagine tratta da youtube: TheNexusInstitute

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