di Andreina Fidanza

Dei racconti e dei ricordi che della senatrice Liliana Segre ho più volte ascoltato, quello che più mi ha toccato è stato senza dubbio alcuno il discorso rilasciato a inizio settimana presso il Parlamento europeo. Perché li, davanti a un’Europa che a 75 anni da quel 27 gennaio 1945 è ancora alla ricerca di se stessa, il ricordo di chi ha visto, sentito e vissuto il male assoluto assume un significato che va ben oltre quanto fino ad oggi esposto in altre sedi. Lo ha sottolineato la stessa senatrice all’inizio di quei venti minuti che rimarranno nella storia: “…l’aver visto all’ingresso la moltitudine di colori sviluppati dalle bandiere dell’Unione mi ha emozionato”.

Un’emozione che è proseguita per aver avuto modo di presenziare in un luogo dove finalmente i popoli si parlano, discutono, anche animatamente e con visioni diverse, ma guardandosi negli occhi. Parole che hanno toccato i parlamentari presenti e tutti coloro che hanno avuto modo di assistere all’intervento attraverso i dispositivi tecnologici. Sentimenti che hanno percorso e ripercorso non solo la storia del Novecento del Vecchio Continente, ma che inevitabilmente si sono spinti a guardare al domani, quello che – come sottolineato dalla “nonna” più popolare del nuovo millennio – dovrà necessariamente permettere ai giovani di prendere in mano la propria vita e farne bellezza, orgoglio, ragione.

Silenziosamente e rispettosamente ho accettato il volere di chi, protagonista e narratore di qualcosa che – come scrisse Primo Levi – è stato, ha reso pubblico di voler chiudere definitivamente i propri interventi per dedicarsi a tempo pieno ai nipoti, a un’ultima parte di vita dove le difficoltà psichiche, le ferite, gli odori di un tempo passato non facciano più parte del proprio quotidiano.

La ragazzina che ha fatto la marcia della morte, che ha disimparato suo malgrado a piangere, che nel tempo è diventata nonna di se stessa, ha voluto salutarci a modo suo, ricordando una bambina del campo di Terezin, che prima di essere uccisa dai nazisti disegnò una farfalla gialla che vola sopra ai fili spinati: “Anche oggi fatico a ricordare, ma mi è sembrato un grande dovere accettare questo invito per ricordare il male altrui, ma anche per ricordare che si può, una gamba davanti all’altra, essere come quella bambina di Terezin”.

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