È curiosa la scelta di Trump di pubblicare il piano di pace per il Medio Oriente un mese prima delle elezioni israeliane. I due candidati premier, Benjamin Netanyahu e Binyamin Gantz, si sono affrettati a recarsi negli Stati Uniti e ne hanno abbracciato la proposta. I palestinesi, come spesso succede in questi sbiaditi tentativi di trattativa, non si sono presentati. Anzi, vedono nella proposta di Trump un’offesa, giudicata troppo sbilanciata verso l’interesse israeliano.

Leggendo quelle pagine dettagliate si deve ammettere che non hanno tutti i torti. La visione di Trump di questo futuro “accordo” (che non ha nessuna chance di diventare realtà diplomatica) è tale che nessun leader palestinese, anche moderatissimo, potrà mai accettare. Prendiamo ad esempio la spinosa questione di Gerusalemme. Il presidente americano riconosce la sovranità israeliana su tutta la città, che non verrà divisa, e i palestinesi sono invitati a creare la loro capitale ai margini della Città Santa. In cambio avranno un riconoscimento americano con relativa ambasciata nella futura capitale. Trump permette a Israele di annettersi, a tutti gli effetti, molte delle colonie, sulle quali vigerebbe la sovranità israeliana, mai accordata da nessun presidente americano in precedenza.

L’unico vantaggio che un palestinese può trarre da questa proposta è che, accettandola, la destra israeliana approverebbe la soluzione di “due stati per due popoli”. Il nascente stato palestinese, che non si potrà dotare di un esercito, avrà la sovranità sul 70% dei territori occupati e un collegamento diretto con Gaza senza interferenze territoriali israeliane.

Anche solo leggendo queste righe è evidente che, più che un piano di pace, Donald Trump ha voluto fare un regalo a Netanyahu per le elezioni dei primi di marzo. Basta sfogliare un libro scritto dal premier israeliano 25 anni fa, dal titolo Un posto al sole, per accorgersi di quanto le idee di questo presidente siano vicine ai principi di Netanyahu su una soluzione del conflitto israeliano-palestinese.

Il presidente americano si dimostra, inoltre, poco attento su un punto che è nevralgico per i palestinesi: la questione dei profughi. I palestinesi, secondo questo piano, dovrebbero rinunciare al diritto del ritorno e risolvere la questione nel nascente stato – assai virtuale, a mio modo di vedere – o nei paesi che oggi ospitano i profughi del ‘48 o del ‘67. Chi segue questo conflitto sa che già in passato, e proprio su questo problema, sono saltati innumerevoli accordi e non vedo perché la leadership palestinese, per uno stato così striminzito, dovrebbe ora rinunciare a un aspetto che sta tanto a cuore ai loro concittadini.

L’offerta economica di Trump è ingente. Si parla di investimenti, di 50 miliardi di dollari, di aiuti commerciali di diverso tipo, della possibilità di avere un porto e un aeroporto e di creare una economia moderna e autonoma che non dipenda da Israele.

Un elemento meno evidente è che questa proposta – che il presidente chiama “l’affare del secolo” (mica si tratta di un prodotto da piazzare sul mercato) – è stata ideata per soddisfare gli evangelisti, ovvero 90 milioni di cristiani protestanti che appoggiano Israele, vedono in esso la realizzazione della Bibbia e hanno un’idea molto chiara su a chi appartenga la Terrasanta. Trump, che ambisce ad essere rieletto, sa molto bene che questo bacino di voti gli è indispensabile. Perciò con questa iniziativa vuole sia aiutare la poco probabile rielezione dell’amico Netanyahu, sia quella propria in vista delle elezioni americane.

Chi segue il Medio Oriente e legge – anche distrattamente – questo documento sa benissimo che le parole in esso contenute non si concretizzeranno mai in un processo di pace. Le trattative fra le parti, secondo Trump, dovrebbero durare quattro anni, un lasso di tempo che in Medio Oriente lascerebbe spazio allo jihad islamico, fra gli altri, di compiere attentati che metterebbero fine ad ogni discussione civile e costruttiva attorno a un tavolo. Basti ricordare gli attentati degli anni Novanta che hanno minato l’accordo di Oslo e disturbato continuamente i tentativi di arrivare alla pace tra Arafat e Rabin prima, Arafat e Peres poi.

Penso che persino lo stesso Netanyahu, pur definendo questa iniziativa americana una “svolta storica”, sappia molto bene che l’unico frutto politico di questo piano è un governo di unità nazionale con il generale Benni Ganz. Un governo del genere adotterà questo “affare del secolo” come la base di una soluzione del conflitto israeliano-palestinese. Niente di più.

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