Una prima analisi dell’incidente del volo PS752 accaduto poco prima dell’alba dell’8 gennaio, pur in assenza di qualsiasi elemento oggettivo, non poteva prescindere da una considerazione preliminare: il tempo di volo del Boeing 737 era stato di pochi minuti, prima del tragico evento che pareva essere accaduto nella fase immediatamente successiva al decollo.

Vi sono poche fasi del volo di un aereo di linea che siano così brevi e delineate, tecnicamente e operativamente, come il decollo. Dipendentemente dagli standard delle varie compagnie aeree, il decollo inizia con l’applicazione della spinta prevista in base al peso dell’aeromobile, alle condizioni meteo e di contaminazione della pista. Altrettanto fondamentale l’estensione degli ipersostentatori, slat e flap, nella configurazione programmata.

Una volta superati i “cancelli” delle velocità critiche (V1, Vr, V2), l’aereo è perfettamente in grado di gestire un’avaria (detta “piantata”) a uno dei due propulsori, senza che essa sia necessariamente da considerare un’emergenza: infatti, in caso di piantata sotto la V1, l’aereo si può arrestare in pista; dopo la V2 e senza dichiarare mayday (ovvero emergenza), si può abbastanza serenamente rientrare nel circuito della pista in uso ed effettuare un atterraggio normale.

Queste procedure sono letteralmente l’abc dell’addestramento al simulatore di ogni pilota di linea. E le comunicazioni radio conseguenti lo sono altrettanto e sono rigorosamente standardizzate: possiamo tranquillamente affermare che è nel Dna di ogni pilota di linea la capacità di gestire perfettamente un’avaria del motore “intorno” alla V1.

Detto questo, a mio avviso vi erano pochi dubbi sulla probabile causa improvvisa e disastrosa dell’evento, nonostante le iniziali smentite ufficiali delle autorità iraniane: la totale assenza di ogni comunicazione di stress da parte dell’equipaggio di condotta, la brevissima permanenza in volo dell’aeromobile dopo il decollo, persino i primi video del sito dello schianto – che mostravano solo i detriti di un velivolo che aveva cominciato a disintegrarsi anche prima dell’impatto col suolo – erano elementi assai eloquenti.

Ben prima dell’ammissione delle autorità iraniane di un abbattimento per errore, vi erano elementi convincenti che di una “normale” avaria non poteva trattarsi. Nella storia dell’aviazione civile vi sono stati casi assolutamente rarissimi di avarie multiple dei motori al decollo: così improbabili percentualmente da non essere nemmeno contemplate nella fase addestrativa dei piloti.

Un Boeing 747, decollato a pieno carico dall’aeroporto di Gatwick, in Inghilterra, verso gli Usa, perse tre motori su quattro al decollo – a causa dell'”ingestione” di volatili – e riuscì, a fatica ma felicemente, a rientrare senza il minimo problema per i passeggeri e il velivolo.

In realtà, nel caso di un evento così repentino da impedire anche qualsiasi comunicazione di emergenza da parte dei piloti, si può solo pensare a tre cause drammatiche e dalle conseguenze immediate: un ordigno a bordo, dotato di capsula barometrica per esplodere al raggiungimento di una certa altezza dal suolo; una collisione con un altro aeromobile; l’abbattimento da parte di un sistema missilistico. È ragionevole escludere la “disintegrazione spontanea” del velivolo, la volontà suicida del pilota ai comandi o altri eventi quasi completamente fuori dal campo statistico.

Personalmente, ma senza nessun elemento oggettivo, ho subito pensato a un ordigno piazzato a bordo oppure a un missile terra-aria; nient’altro poteva spiegare l’eccezionale rapidità degli eventi che escludeva sicuramente una qualsiasi emergenza più o meno “standard” dell’aeromobile. Anche nella estremamente remota ipotesi di una doppia piantata di motore al decollo, i piloti avrebbero probabilmente avuto il tempo di dichiarare mayday e di effettuare un atterraggio di emergenza notturno, le cui conseguenze avrebbero anche potuto essere altrettanto disastrose, ma almeno avrebbero lasciato detriti e rottami ben più grandi.

Vista l’estrema tensione tra Iran e Usa, era plausibile uno stato di allerta per un possibile attacco: ho pensato subito al sistema missilistico sovietico Tor M1/M2 venduto all’Iran già diversi anni fa. Questo sistema, conosciuto anche come SA-15 “Gauntlet”, è incredibilmente efficiente e performante e al tempo stesso abbastanza semplice da operare.

Dipendentemente dalle versioni, ingaggia bersagli entro i 25 km di distanza, viaggia a circa tre volte la velocità del suono, guidato da un radar di terra e sofisticati sistemi di avvicinamento al bersaglio: una spoletta di prossimità fa detonare 15 kg di esplosivo che proiettano schegge pre-fragmentate dalla forma molto particolare contro la fusoliera del bersaglio, riducendola a brandelli. Esattamente lo stesso tipo di missile abbatté il volo Malaysian 17 sopra l’Ucraina qualche anno fa.

Purtroppo le ammissioni ufficiali delle autorità iraniane hanno confermato questa teoria: l’ultima parola va agli investigatori che avranno la possibilità di accedere alle scatole nere, e quindi ai dati di volo e alle conversazioni in cabina di pilotaggio di quegli ultimi terribili momenti del volo 752. Temo che non sarà l’ultima volta che i danni collaterali della geopolitica coinvolgono pesantemente civili inermi.

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