Mentre gli occhi dell’Italia e dell’Europa erano puntati sulle navi Diciotti, Open Arms, Sea Watch e delle altre ong al largo di Lampedusa, nel Salento sono andati avanti, nel silenzio, per mesi, i cosiddetti “sbarchi fantasma”, dietro i quali ha operato un’organizzazione transnazionale a cui ora è stato dato un volto. Brindisini sulla costa italiana, siriani su quella greca: un giro d’affari di almeno 600mila euro in appena otto mesi, proventi illeciti reimpiegati nell’apertura di negozi ad Atene, in attività commerciali e turistiche anche in Puglia e nell’acquisto di nuovi scafi con i quali trasportare migranti.
Tredici le persone arrestate nei due Paesi, cinque quelle finite in carcere a Lecce, tutte brindisine: Tommaso Ferrero, 27 anni, già condannato per porto e detenzione di armi, ritenuto il promotore e organizzatore del gruppo italiano; la sua compagna 25enne, Maria Sara Zecca, che avrebbe accompagnato il fidanzato in Grecia per simulare viaggi leciti ed eludere i controlli; Davide Lacalaprice, 30 anni; Natale Morleo, 37 anni; Giuseppe Alessio Mignarri, 30enne di Ostuni. Questi ultimi tre sarebbero stati impiegati nella manutenzione e riparazione delle imbarcazioni, nel loro trasferimento a Corfù e nel trasporto in Italia dei guadagni illeciti. Altri due uomini sono ricercati: Anas Mohammad, 26 anni, palestinese, e Dalil Mohammad, 35 anni, siriano. Rispondono di associazione a delinquere per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il gip Giovanni Gallo ha rigettato, invece, la richiesta di custodia cautelare in carcere per Giuseppe Ferrero, 39 anni.
“Meglio i migranti che le sigarette”: le indagini internazionali
Nessun collegamento con la Sacra Corona Unita, ma una banda di giovani navigati. Sono 29 in totale le persone indagate: molte di loro appartengono a storiche famiglie di contrabbandieri del Brindisino, allenate ad avere confidenza con il mare e i suoi traffici. “Meglio i migranti che le sigarette, perché una volta a terra i primi camminano da soli”, questo il leitmotiv delle conversazioni carpite dagli investigatori.
Le indagini sono andate avanti per un anno, coordinate dalla Dda di Lecce, dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e dall’Eurojust. Pedinamenti, intercettazioni, approfondimenti documentali, osservazioni condotte direttamente sul territorio ellenico: a operare è stato il Gico della Guardia di Finanza di Lecce con il supporto dello Scico e in sinergia con la polizia e la Guardia Costiera greche, oltre che con personale dell’Europol.
È stata la creazione di una squadra investigativa comune, con la condivisione delle banche dati, a consentire la svolta e a far completare il puzzle. I primi tasselli erano stati gli arrivi cadenzati lungo le coste salentine: poche decine di migranti alla volta, un flusso che da anni è routine, tanto da non fare più notizia. Almeno sette gli episodi che hanno puntellato quest’indagine, con il rintraccio di 99 migranti e l’arresto, in flagranza di reato, di due scafisti. “Per noi rappresentano gli sbarchi più pericolosi – ha spiegato in conferenza stampa il procuratore aggiunto della Dda di Lecce, Guglielmo Cataldi – perché rappresentano quelli di prima classe, con numeri limitati, attraversamenti sicuri, tariffe costosissime”.
Viaggi da 6mila euro a testa e tragedie sfiorate
“Sestante”, è questo il nome dell’operazione. Sestante come lo strumento di cui i migranti avrebbero avuto bisogno per navigare, non avendo altro, ogni volta che gli scafisti lasciavano loro il timone per darsi alla fuga, in mare aperto. Se quei viaggi non si sono trasformati in tragedia è solo perché erano sotto l’occhio vigile della Finanza che stava indagando e che, ogni volta che ha visto dall’alto un’imbarcazione in difficoltà, ha allertato la Guardia Costiera per i soccorsi. I natanti impiegati, messi a disposizione dai brindisini, erano così malmessi che a volte non riuscivano neppure ad affrontare il viaggio di andata in Grecia. Venivano acquistati a poco prezzo, soprattutto online, su portali come Subito.it, riparati presso l’officina di Tommaso Ferrero e condotti personalmente da lui o da altri collaboratori fino a Corfù. Lì i motor yacht venivano consegnati agli scafisti per il viaggio di ritorno attraverso il Canale d’Otranto.
Era la cellula siriana con base ad Atene a occuparsi del reclutamento dei migranti. Siriani, iracheni, curdi e afgani erano costretti a pagare circa 6mila euro a testa per la tratta Grecia-Italia e altrettanti per quella che dalle loro zone di conflitto li portava, via Turchia, nella capitale ellenica, dove alloggiavano in albergo prima dello spostamento a Corfù in anonime strutture turistiche. I pugliesi, invece, una volta giunti sull’isola e lasciato lo scafo, proseguivano verso Atene per andare a recuperare i soldi, rientrando a Brindisi in traghetto con più borsoni, in ciascuno dei quali non riponevano più di 9.999 euro in contanti (somma massima consentita per ogni passeggero).
Dall’ordinanza di custodia cautelare emerge che Ferrero si sarebbe fatto consegnare tra i 30mila e i 50mila euro per ogni natante procurato, distribuendo poi ai suoi sodali somme tra i mille e i 5mila euro a seconda delle mansioni. Disparità di trattamento che qualcuno non digeriva: “Ma quando (Ferrero, ndr) guadagna 50mila euro con me li divide? E sì, mo’ così stanno le cose.. sto fesso qua…quello che si mangia la caramella…è come quello che si mangia il piatto di pasta. La stessa cosa è qua”, si lamentava Lacalaprice con Morleo in una intercettazione.
I russofoni viaggiano sui velieri
Le due cellule sgominate con l’operazione Sestante erano perfettamente coordinate, con rapporti risalenti almeno al 2015, come documenta lo scambio di denaro tra i vari membri tramite il canale Western Union. Non sono, però, l’unica organizzazione a gestire gli “sbarchi fantasma” nel Salento. Ce n’è un’altra che, al momento, non vede italiani coinvolti: è completamente gestita dai “russofoni”, soprattutto ucraini e georgiani. Al contrario degli italo-siriani, che hanno impiegato motor yacht, loro si spostano soprattutto con i velieri, che ancora di più si confondono con il normale traffico da diporto. Stando a quanto si apprende da fonti investigative, fanno base direttamente in Turchia, dove arruolano i migranti, anche provenienti dalla Somalia. Dalle coste occidentali turche, poi, salpano per giungere direttamente nel Tacco d’Italia. L’ultimo episodio risale al 2 dicembre scorso: in 56, tra cui cinque bambini, sono stati abbandonati dagli scafisti su un veliero alla deriva, al largo di Santa Maria di Leuca, in un mare in tempesta. I migranti sono stati tratti in salvo dalla Capitaneria. L’imbarcazione, invece, si è incagliata sugli scogli ed è affondata.