Donne senza uomini. Si evocano, si citano, si allontanano dal ricordo, ma in scena i maschi non ci sono mai. E non se ne sente la mancanza. Anzi se ne avverte il peso autoritario e ingiustificabile. Ritratto della giovane in fiamme, regia di Céline Sciamma, in sala dal 19 dicembre grazie a LuckyRed, è il film che mette da parte canoni estetici, culturali e sessuali maschili a favore di una sensibilità sostitutiva al femminile come raramente è capitato di vedere al cinema negli ultimi anni. Siamo nel 1770. La giovane pittrice Marianne (Noemie Merlant) giunge in un’augusta villa sull’oceano atlantico per dipingere il tradizionale ritratto “casalingo” di Heloise (Adele Haenel), una ragazza che dovrà sposare il promesso sposo della sorella maggiore morta all’improvviso. Per mostrare il suo rifiuto al matrimonio combinato Heloise non vuole però posare per il ritratto. Così Marianne, spinta dagli ordini della madre della ragazza (Valeria Golino) e dai consigli della servetta di casa (Luana Bajrami) cercherà di disegnare la figura della ragazza senza mai vederla in posa. Ma l’avvicinamento anticonvenzionale alla “modella” da parte della pittrice susciterà in entrambe le ragazze un’attrazione fisica e mentale difficilmente smorzabile sotto abiti e formalità tardo settecentesche.

Non immaginatevi chiaramente il voyeurismo alla Tinto Brass (anche se qualcosa della ricerca formale di Tinto c’è), ma nemmeno la leziosità dei racconti immorali di Borowczyk (anche se l’atmosfera marittima di un episodio del film con Luchini giovanissimo c’è), Ritratto di una giovane in fiamme è un dramma sentimentale ancorato ad una ricostruzione storica dove l’approccio calligrafico nella sua austera fissità cerca di trattenere la passione purissima e lesbica che infine vibra libera e autentica. Non ci sono uomini, si diceva all’inizio.

Ritagliati come zotici e maleducati barcaioli per trasportare Marianne nella villa (quando cade il baule della ragazza in mare è lei a gettarsi e quando deve salire le rocce della costa è lei a trasportarsi i suoi bagagli), oppure come indifferenti e apatiche figurine di contorno sul finale del film, i maschi rispecchiano una sorta di anticaglia sovrastrutturale estranea al pensiero e alla fisicità delle protagoniste. Non solo le due ragazze sviluppano un rapporto sessuale che mima con una penetrazione ascellare l’inutilità del presunto piacere dovuto al maschile, ma proprio ne cancellano la presenza come dato residuale nella loro memoria. E se Marianne fatica a dipingere Heloise sulla tela, le cause sono ovviamente due: la prima è quella più diretta ovvero di provare un tale sentimento per la ragazza da non riuscire a trovare la lucidità per ritrarla; il secondo è quello di uscire dai canoni del bello al maschile che la professione richiede.

In questo il film della Sciamma, già da tempo attenta a confrontarsi e ad esporre con forza i dilemmi dell’identità al femminile in un mondo al maschile, è categorico: si prova, e si deve, fare tutto senza uomini. Sintomatico il rapporto con la serva di casa, incinta, che le ragazze aiutano ad abortire con scene piuttosto forti e discutibili (il neonato che prende la mano della ragazza mentre viene “operata” non è un raffronto simbolico da nulla). Insomma pur all’interno di una confezione minuziosamente ricostruita a livello di singole inquadrature fisse (alcuni giochi di specchi e di geometria fronte macchina sono meravigliosi) e di una direzione della fotografia che immobilizza il tempo attraverso frammenti di pittura che sembra autentica (un vaso di fiori sul tavolo, alcuni oggetti sulla credenza, il campo lungo su spiaggia e mare), Ritratto di una giovane in fiamme è uno schiaffo ribelle ben calibrato e teso al viso delle convenzioni identitarie e culturali, che va assolutamente visto non fosse solo per come gli uomini sono tagliati naturalmente fuori dalla scena. Sequenza clou: una specie di sabba tra la vegetazione di una spiaggia che certifica ferrerianamente la fine dell’uomo. Ruspante e decisa la Merlant. Impressionante la bellezza e il magnetismo della Haenel.

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