Avete sentito parlare del “progetto usignolo“? Come cita l’articolo, è la collezione di dati sanitari più importante degli Usa raccolti da Google senza il consenso degli utenti. Questo è uno dei motivi per cui continuo a pensare che History Health sia l’unica soluzione possibile. Alcuni cittadini cominciano a essere d’accordo con me. Qui vi riporto una mail appena ricevuta.

“Buongiorno dottore,

Faccio una riflessione da cittadino che ogni giorno dissemina tracce di sé e concede a terzi ignoti di conoscere i propri gusti, le proprie inclinazioni politiche o religiose, la propria capacità di spesa nonché di reddito.

Ieri ho utilizzato un’app per la ricerca di una casa, ho inviato una richiesta di informazioni per un appartamento e trenta secondi dopo sono stata contattata telefonicamente non dal proprietario o dall’agenzia incaricata, come avrei voluto, bensì dal gestore di un database che mi chiedeva 250 euro per farmi accedere ai suoi annunci. Ripeto: trenta secondi ed ero stata già schedata.

La tecnologia è fantastica quando mi localizza l’auto che non ricordo mai dove ho parcheggiato; è meravigliosa quando mi consente di trovare al minor prezzo l’oggetto che desidero e me lo consegna a casa in un giorno; è indispensabile per contattare i figli adolescenti o gli anziani genitori e sincerarmi che stiano bene, ma tutto questo fluire di informazioni verso gli altri manca di un controllo vero da parte del titolare di questi dati, cioè io. E la cosa diventa ancora più grave quando si tratta della mia salute.

Ora vengo a sapere che Google, con il progetto usignolo, ha raccolto i dati sanitari di 50 milioni di americani senza il consenso degli utenti: gli esami svolti, le terapie, i ricoveri. La scusa è migliorare il lavoro dei medici e le cure per i pazienti. La verità è che quei dati sono oro per le assicurazioni, per le case farmaceutiche e per tutti coloro che guadagnano nel settore della sanità. Negli Stati Uniti lo hanno già fatto e basterà un click per farlo anche con i nostri dati. Se non lo impediamo, riappropriandoci dei nostri dati – e lei lo aveva spiegato bene alla presentazione di History Health alla Milano Digital Week del marzo scorso – ci ritroveremo ostaggi del sistema, usati come cavie per stabilire ciò che rende di più a loro, non ciò che fa bene a noi e ai nostri figli”.

Articolo Precedente

Financial Times nomina il suo primo direttore donna in 131 anni di storia: Roula Khalaf prenderà il posto di Lionel Barber

next
Articolo Successivo

Gruppo Gedi, poligrafici in sciopero: domenica non escono Repubblica, Stampa, Secolo XIX, Piccolo e Messaggero Veneto

next