Quattro anni di inchieste per il crack che ha messo in ginocchio decine di migliaia di risparmiatori di Veneto Banca, alla fine hanno lasciato sotto il tiro dell’accusa soltanto un indagato. Si tratta dell’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli, mentre per tutti gli altri, presidente, dirigenti e sindaci della banca, i capi d’imputazione sono stati archiviati. La decisione è stata prese dal giudice Bruno Casciarri, che ha accolto le richieste dello stesso pubblico ministero Massimo De Bortoli. Epilogo sotto tono per uno scandalo colossale, un sistema di pompaggio dei bilanci, grazie al sistema della compravendita pilotata delle azioni, che stando alle risultanze inquirenti avrebbe solo un responsabile (non ancora rinviato a giudizio). Un unico uomo avrebbe ideato il meccanismo e impartito gli ordini per metterlo in pratica, senza però che vi siano prove per dimostrare la connivenza dei componenti del consiglio di amministrazione, la complicità dei dirigenti o la colpevole cecità del collegio sindacale della banca di Montebelluna.

Finiscono, infatti, in archivio dieci posizioni. Innanzitutto l’ex presidente Flavio Trinca, nonostante ai vertici di Veneto Banca sia rimasto la bellezza di 17 anni. Decisivo il fatto che egli non avesse le deleghe operative per intervenire. Poi, i manager Stefano Bertolo ( responsabile della direzione centrale amministrativa di Veneto Banca dal 2008 al 2014), Mosè Fagiani (responsabile commerciale dal 2010 al 2014), Flavio Marcolin (ex responsabile degli affari societari e legali), Renato Merlo (ex responsabile delle banche estere) e Massimo Lembo (ex capo della direzione compliance). Ma ci sono anche gli ex sindaci Diego Xausa e Michele Stiz, oltre a Pietro D’Aguì, amministratore delegato di Banca Intermobiliare, e l’imprenditore Gianclaudio Giovannone.

Rimane solo Consoli. Ma la sua posizione sembra destinata a ridimensionarsi. È infatti prevista un’udienza davanti al gip per decidere sulla richiesta di archiviazione di cinque capi d’imputazione, che gli vennero contestati dalla Procura di Roma, visto che, inizialmente, l’inchiesta era finita nella capitale. Poi era però tornata a Treviso, in qualche modo con un destino già segnato. Previsat anche un’udienza per decidere sulla richiesta di dissequestro dei beni mobili e immobili di Consoli, tra cui una bellissima villa storica nel centro di Vicenza. L’ufficio dei gip non ha ancora fissato l’udienza per decidere sui tre capi d’accusa rimasti a carico di Consoli: aggiotaggio, ostacolo e falso in prospetto. Ha giocato a favore dell’ex ad, nello sfrondamento delle accuse, la relazione del consulente tecnico Gaetano Parisi, dirigente di Banca d’Italia. Secondo la sua ricostruzione, le informazioni che Consoli avrebbe nascosto alle autorità di vigilanza avrebbero avuto un impatto “del tutto irrilevante”, visto che riguardavano operazioni finanziarie per qualche decina di milioni, a fronte di un patrimonio di vigilanza di circa tre miliardi di euro.

Grande amarezza tra i risparmiatori, considerando anche che a Vicenza, per l’analogo crack della Banca Popolare di Giovanni Zonin, almeno un processo si sta celebrando. “Non può finire qui, ora andremo in Cassazione contro l’archiviazione di Bertolo, Fagiani e Trinca. Non sta in piedi l’ipotesi che Consoli abbia fatto tutto da solo, soltanto se si guarda con un po’ di buon senso a questa vicenda. La teoria che il destino della banca coincidesse con il solo Consoli fa acqua da tutte le parti”. Questo il commento dell’avvocato trevigiano Luigi Fadalti, che assiste numerosi risparmiatori. Il dubbio era stato sollevato ad agosto quando la Procura aveva chiesto le archiviazioni. “Come si può immaginare che il resto del management sia rimasto all’oscuro? Non ci credo” conclude il legale trevigiano.

Eppure il pm De Bortoli aveva scritto, nella richiesta di archiviazione: “Consoli assumeva ogni decisione del tutto autonomamente, senza consultare il presidente Trinca, soprattutto per quanto riguarda la gestione del credito. E poteva contare sulla fedele collaborazione dei propri dirigenti, che obbedivano ciecamente alle sue direttive”.

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