Uno dei telefoni usati da Tiziano Renzi è intestato a un extracomunitario. Lo sostiene il Corriere Fiorentino, specificando che il padre dell’ex presidente del consiglio utilizza quel cellulare dopo l’arresto del 18 febbraio scorso con l’accusa di bancarotta fraudolenta, per paura di essere intercettato. Informazioni emerse dall’inchiesta per traffico di influenze coordinata dal procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco e della pm Christine Von Borries. Non si è fatta attendere la reazione del padre dell’ex premier. “Ancora una volta leggo notizie false e gravemente diffamatorie nei miei confronti – ha detto Tiziano Renzi – A differenza di quanto riportano oggi alcuni quotidiani non ho mai avuto telefoni intestati a cittadini extracomunitari. Mai”. Renzi senior, poi, ha sottolineato di aver “consegnato alla procura tutti i miei telefoni, anche quelli vecchi non più in uso, oltre all’IPad e ai computer e sto aspettando che mi vengano restituiti per recuperare le foto dei miei nipoti che sono l’unica cosa cui tengo di quei telefoni. Non so cosa sia questo telefonino intestato a un extracomunitario – ha aggiunto – L’unica scheda telefonica straniera è una scheda comprata a Medjugorie, da utilizzare nel corso dei frequenti pellegrinaggi e che peraltro non avevo ancora mai usato. Tutto il materiale informatico degli ultimi anni – ha continuato – è nelle mani della Procura fin dalle prime perquisizioni e lo ho sempre consegnato spontaneamente”. Successivamente il padre del leader di Italia Viva ha annunciato querele “in sede penale e civile per l’ennesima fuga di notizie e per le false frasi diffamatorie riportate dagli organi di stampa in cui mi si accusa di voler sviare le intercettazioni e le indagini. Falso. Ho sempre collaborato e continuerò a farlo perché so di essere innocente – ha concluso – Per il resto mi riservo di notare come tutto ciò che sta accadendo avvenga nella costante violazione dei diritti della persona e dei più importanti principi costituzionali”.

Nell’ambito dell’indagine fiorentina per traffico d’influenze, la Guardia di Finanza il 3 ottobre scorso ha sequestrato a Renzi senior alcuni telefoni cellulari, il personal computer, diverse pen drive. L’obiettivo degli inquirenti è quello di trovare chat, comunicazioni e documenti su argomenti sensibili. L’8 ottobre il sequestro a carico di Tiziano Renzi ha avuto uno sviluppo importante, perché la pm Von Borries ha affidato a un consulente della procura l’incarico di scoprire cosa contengono i telefoni e i pc di Renzi senior. Si è trattato di un accertamento non ripetibile effettuato alla presenza dei legali del padre dell’ex premier, che – a leggere il quotidiano la Verità – si sono dimostrati “agitati” a causa della scarsa dimestichezza di Tiziano con gli apparati tecnologici e con il conseguente rischio di aver lasciato in memoria conversazioni e tracce su temi riservati, dall’attività imprenditoriale alle vicissitudini giudiziarie del padre del leader di Italia Viva.

Preoccupazione che sembrerebbe fondata quella degli avvocati Bagattini e Pellegrini, perché sempre secondo il giornale di Maurizio Belpietro l’esperto nominato dalla procura ha trovato sui telefoni di Renzi alcune vecchie chat non cancellate ed effettuate con programmi che permettono a chi li utilizza di non essere intercettato (Telegram, Signal, Whattsapp). E il tempo, in questa indagine, non è un fattore di poco conto, perché il traffico d’influenze sul quale i pm vogliono far luce sarebbe stato realizzato dal 2015 a oggi. Sono gli anni, del resto, in cui è maturato e si è consolidato il rapporto tra Tiziano Renzi e Luigi Dagostino, entrambi condannati il 7 ottobre scorso per fatture false (1 anno e 9 mesi per i genitori dell’ex premier, due anni per l’imprenditore di origini pugliesi). Come raccontato da Il Fatto Quotidiano a settembre 2015, Dagostino aveva portato con se Tiziano Renzi nel suo giro da Nord a Sud per incontrare i sindaci delle città in cui aveva progettato di costruire nuovi outlet sull’esempio del The Mall di Leccio Reggello (proprio per progetti relativi a questo outlet la Tramor di Dagostino verso le due fatture false per complessivi 160mila euro che sono valse la condanna a entrambi).

I due compaiono insieme a Sanremo a settembre 2014 e successivamente a Fasano, nel Brindisino, luoghi in cui sarebbero dovuti sorgere i due centri commerciali del gruppo Kering. Il rapporto tra Tiziano Renzi e Dagostino, poi, era diventato organico grazie alla Party Srl, in cui entrambi controllavano il 40% delle quote (Tiziano direttamente, Dagostino tramite la Nikila Invest, della sua compagna Ilaria Niccolai): la società è stata poi chiusa a gennaio 2016 a causa “della pesante campagna mediatica”. Sulla natura del loro legame (testimoniato anche da una serie di incontri annotati con cura da Dagostino sulla sua agenda, poi finita agli atti dell’inchiesta) era stato lo stesso immobiliarista di origini pugliesi a fornire una spiegazione illuminante in un’intervista alla Verità: “Faceva parte del lavoro di Tiziano, quello della lobby, di portare magari i politici, diciamo… era un’epoca quella dove incontravi un tale per strada e voleva stare con Renzi. Alla fine è un lobbismo, ma è un lobbismo del cazzo”.

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