Dalla ricchezza prodotta e dall’apporto al Prodotto interno lordo nazionale, fino al contributo per le sorti future del sistema pensionistico e al valore aggiunto offerto nelle differenti tipologie professionali. A fotografare come gli “stranieri residenti oggi in Italia rappresentino una forza vitale per il nostro Paese” è la fondazione Leone Moressa, nel suo rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione. Nel 2018 i lavoratori stranieri in Italia sono stati 2,5 milioni, pari al 10,6% degli occupati totali. La ricchezza da loro prodotta è stata stimata in 139 miliardi di euro, pari al 9% del Pil. Questo è il dato emerso dall’analisi dello stesso rapporto, dove si sottolinea come gli occupati stranieri si concentrino però soprattutto nelle professioni non qualificate (33,3%), solo il 7,6% in quelle qualificate. Il restante 60% si divide quasi equamente tra operai, artigiani-commercianti e impiegati.
Nonostante la popolazione italiana stia diminuendo, a causa della bassa natalità, con il saldo tra nati e morti negativo da oltre 25 anni, l’Italia ha però chiuso le porte da circa un decennio agli immigrati regolari. Allo stesso tempo è tornata terra d’emigrazione, con quasi 250mila giovani persi negli ultimi dieci anni: una fuga che ci è costata 16 miliardi di euro. Un gap che potrebbe essere colmato con l’apporto dei lavoratori stranieri regolari. Anche perché allo stesso tempo aumentano gli anziani: l’Istat prevede che nel 2038 gli over 65 saranno un terzo della popolazione. “Ciò determinerà squilibri sociali, economici e finanziari, dato che proporzionalmente diminuiscono i lavoratori e aumentano i pensionati”, si spiega nel rapporto.
“L’Italia avrebbe bisogno di rivitalizzare i decreti flussi. Sono le stesse organizzazioni datoriali a chiedere manodopera”, spiega Enrico Di Pasquale, ricercatore della fondazione Moressa. Mentre Andrea Stuppini, ex rappresentante delle Regione nel comitato tecnico nazionale immigrazione, chiarisce: “C’è stato un forte calo negli ultimi dieci anni, è mancato un piano. Responsabilità della politica? L’onda della propaganda è stata forte, ha sottovalutato l’investimento economico e culturale necessario per l’integrazione degli immigrati. Eppure questa è l’unica strada: tornare ad aumentare l’immigrazione economica rispetto ai profughi. Si avrebbero maggiori persone pronte a pagare tasse e contributi”. Già oggi abbiamo “un contributo pari a 3,5 miliardi di euro di Irpef e quasi 14 miliardi di contributi previdenziali che sostengono la nostra economia”, ha aggiunto Di Pasquale. Oltre che un rapporto positivo tra entrate e uscite per quanto riguarda la spesa pubblica relativa all’immigrazione. “Quando si arriva a sprecare fondi europei, come hanno fatto alcune Regioni italiane, piuttosto che usarli per l’integrazione, si pagherà un alto prezzo nei prossimi anni”, ha denunciato Stuppini. “Rispetto alla discussione pubblica rivolta alla pancia del Paese, questo rapporto fa emergere tutta l’utilità che l’Italia avrebbe se facesse partire un percorso di reale integrazione degli immigrati”, ha concluso Triantafillos Loukarelis, Direttore UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali). Mentre Paola Alvarez (Oim) rivendica: “Il cambiamento nel governo apre un periodo di nuove opportunità. Introduzione dello Ius culturae? Non abbiamo una posizione in merito, ma sarebbe un’opportunità per arricchire la società”.
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