Dopo gli attacchi arrivati da banche e assicurazioni tedesche, la politica espansiva della Bce di Mario Draghi finisce anche nel mirino della vecchia guardia dell’Eurotower. “Da ex banchieri centrali e cittadini europei assistiamo con crescente preoccupazione all’attuale modalità di crisi della Bce”, si legge nel documento due pagine firmato tra gli altri dall’ex capo economista della Bce, Juergen Stark. “Il sospetto” è che il nuovo quantitative easing, cioè il piano di acquisto di titoli di Stato, possa nascondere l’obiettivo “di proteggere i Paesi altamente indebitati da un rialzo dei tassi di interesse sta diventando sempre più fondato”. Inoltre i tassi di interesse bassissimi creano effetti redistributivia favore dei proprietari di asset immobiliari” che generano “serie tensioni sociali” mentre “le giovani generazioni si vedono private dell’opportunità di provvedere alla vecchiaia con investimenti sicuri che rendano”.

Il documento è firmato anche da Herve Hannoun, ex vice governatore della Banque de France, dall’ex componente del comitato esecutivo della Bce Otmar Issing, dall’ex governatore della Banca centrale austriaca Klaus Liebscher, dall’ex presidente della Bundesbank Helmut Schlesinger, e dall’ex governatore della Banca centrale olandese Nout Wellink. Le valutazioni sono state condivise anche dall’ex governatore francese Jacques de Larosiere.

Sono diverse le accuse rivolte a Draghi, dall’aver sbagliato la diagnosi e l’approccio nel dare esecuzione al mandato di assicurare la stabilità dei prezzi, agli effetti dannosi dei tassi di interesse negativi fino all’accusa di finanziare i governi attraverso il Qe. “C’è un ampio consenso che, dopo anni di quantitative easing, l’acquisto protratto di titoli da parte della Bce difficilmente produrrà un effetto positivo sulla crescita. Questo rende difficile comprendere la logica di politica monetaria di riesumare gli acquisti netti di titoli” consolidando “il sospetto” che la misura intenda “proteggere” i governi con un alto debito. “Da un punto di vista economico, la Bce è già entrata nel territorio del finanziamento monetario della spesa dei governi, che è strettamente proibita dai Trattati”.

Quanto ai tassi “ultra bassi”, l’impatto negativo “si estende dal sistema bancario, attraverso le compagnie assicurative e i fondi pensione, all’intero sistema finanziario”. E crea effetti redistributivi “a favore dei proprietari di asset immobiliari” che generano “serie tensioni sociali” mentre “le giovani generazioni si vedono private dell’opportunità di provvedere alla vecchiaia con investimenti sicuri che rendano”. Non solo: “la ricerca di rendimenti spinge artificialmente il prezzo degli asset a un livello che minaccia di tradursi in una brusca correzione del mercato o persino in una profonda crisi”.

I prestiti a tasso negativo Tltro, sostengono poi i firmatari, hanno contribuito a “una ‘zombificazione‘ dell’economia che, secondo studi dell’Ocse e della Banca dei regolamenti internazionali, ha già raggiunto livelli considerabili in alcuni Paesi e sta contribuendo a una più debole crescita della produttività“, mantenendo “a galla” banche e imprese “deboli”. “Più a lungo la Bce sta nel suo percorso estremamente accomodante, più gli effetti negativi prevalgono” e “più grande è la possibilità di un contraccolpo”.

Due giorni fa Draghi era stato attaccato dal capo della più grande compagnia assicurativa europea, Oliver Baete della tedesca Allianz, che in un’intervista al Financial Times ha sostenuto che non è indipendente. “La ragione per la quale non stiamo facendo riforme fiscali è perché tu stai rendendo facile per la gente spendere soldi che non ha”, ha detto l’amministratore delegato di Allianz. “Mi dispiace. Invero abbiamo creato banche centrali indipendenti affinché questo non succedesse, affinché le banche centrali non stampassero denaro. La gente dice che Draghi è indipendente. No, non lo è”, ha sostenuto. Baete fra l’altro ha accusato la Banca centrale europea di “moltiplicare il rischio” combinando politiche monetarie super-allentate con il cosiddetto “doom loop” degli investimenti delle banche in titoli di Stato, un fattore che avrebbe amplificato la crisi dell’eurozona.

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