“Sabato mi è arrivata l’ennesimo fascicolo del tribunale dei ministri” che “deciderà nei prossimi 90 giorni“, quindi “dicembre, mi fanno magari il regalo di Natale”, “se devo essere processato per reato di sequestro di persona perché ho bloccato per quattro giorni lo sbarco di cento immigrati da una nave in Sicilia“. Lo ha detto Matteo Salvini durante un comizio a Riccione (Rimini). “Se devo essere processato – ha aggiunto – facciano pure, l’ho fatto e lo rifarò finché campo quando torno a fare il ministro. Perché in Italia si arriva se si ha il permesso di arrivare”.

Ancora non è noto quale sia lo sbarco per il quale l’ex titolare del Viminale rischia il processo. Il 21 settembre a Procura di Catania ha avanzato richiesta di archiviazione per il caso della nave Gregoretti, pattugliatore della Guardia Costiera sbarcato il 31 luglio nel porto di Augusta con 116 migranti. Il 15 aprile, poi, l’agenzia Ansa batteva la notizia secondo cui il Tribunale dei ministri di Catania aveva avviato un’istruttoria dopo la richiesta di archiviazione presentata dal procuratore Carmelo Zuccaro dell’inchiesta per sequestro di persona avviata dalla Procura di Roma sui tempi che avevano portato allo sbarco di 47 migranti della Sea Watch il 31 gennaio nel capoluogo etneo.

Il segretario della Lega era già stato protagonista di un caso simile. Il 24 gennaio il tribunale dei ministri di Catania aveva chiesto al Senato l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora titolare del Viminale, sconfessando Zuccaro che invece aveva chiesto l’archiviazione per il caso della nave Diciotti: per i giudici l’allora ministro aveva “abusato dei suoi poteri” tenendo per 5 giorni 177 migranti a bordo dell’imbarcazione della Guardia Costiera “in condizioni psicofisiche critiche” per motivi “meramente politici“. I magistrati ipotizzavano, inoltre, il reato di sequestro di persona aggravato, anche “per esser stato commesso in danno di soggetti minorenni”.

Ventiquattr’ore dopo l’allora capo del Viminale affrontava la questione petto in fuori: “Non ho bisogno di protezione, altri chiedevano l’immunità perché rubavano, io invece ho applicato la legge da ministro. E ritengo di aver applicato la costituzione che prevede la difesa della patria”, spiegava sicuro il 25 gennaio. “Se dovrò essere processato per questo – continuava – lo deciderà liberamente il Senato. Chi sono io per non farmi processare?”.

Quattro giorni dopo aveva cambiato idea: la decisione sulla nave Diciotti è stata presa “nell’interesse pubblico”, per questo “va negata l’autorizzazione ai giudici“, vergava di suo pugno
Salvini, molto meno spavaldo, in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera il 29. E spiegata due giorni dopo dal diretto interessato così: “Io ero tranquillo. Ma tutti gli amici mi hanno detto che il processo sarebbe stata un’invasione di campo senza precedenti”. E così aveva inviato un messaggio agli alleati del M5s.

Come aveva poi fatto il 4 febbraio, rivolgendo un invito alla Giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama: “Il sì della Giunta “sarebbe un precedente grave non per Salvini, ma perché vorrebbe dire che una parte della magistratura decide quello che il governo può o non può fare”. I colleghi senatori decidevano di ascoltarlo e il 19 votavano no alla richiesta di autorizzazione. Così come accadeva in Aula il 20 marzo: i senatori decidevano di non mandare il processo il collega con 237 voti e il contributo determinante degli alleati di governo del M5s.

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