La “piccola Roma” e la “grande Roma”. Come Parigi o, ancor di più, come Londra. Con governance, fondi e poteri speciali. Se ne parla da anni, ma di concreto si è fatto molto poco, quasi nulla. Con l’arrivo del governo sostenuto da M5s e Pd, c’è stata un’accelerazione e la riforma di Roma Capitale è finita alla voce priorità sulla scrivania del neo ministro agli Affari regionali, Francesco Boccia, insieme all’altro grande tema del suo mandato: l’autonomia delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

L’esponente dem ha già incassato, sia dal premier Giuseppe Conte sia dalla sindaca di Roma Virginia Raggi, il via libera a lavorare su una bozza di riforma. L’obiettivo è arrivare a dama in tempi piuttosto stretti, con tre date di riferimento: il 20 settembre 2020 con i 150 anni dalla Breccia di Porta Pia; il 3 febbraio 2021, 150 anni di Roma capitale d’Italia; e il 17 marzo 2021, 160° anniversario dell’unità d’Italia. “Riportando così la città a ricoprire il suo ruolo di biglietto da visita del Paese nella maniera che più le compete”, spiegano fonti autorevoli del ministero a IlFattoQuotidiano.it.

Livello 1: la governance – Il primo livello della riforma riguarda l’assetto del Comune di Roma, la cosiddetta “governance”. Il principio di partenza è che il sindaco di Roma non può avere le stesse competenze dei suoi 7.913 colleghi, disponendo di un territorio grande quanto le altre 9 città italiane più popolose messe insieme. La proposta sul tavolo è quindi quella di ridurre il perimetro della Capitale ben all’interno dei confini “naturali” del Grande raccordo anulare, lasciando andare alcuni quartieri nuovi o realtà urbanistiche autonome come, ad esempio, Ostia, Acilia, Ponte di Nona, Lunghezza o La Storta.

Una “piccola Roma” nella quale lasciare il centro storico, l’anello ferroviario e ad alcune delle borgate storiche oggi semi-periferiche. Ridotto drasticamente il diametro della città, i nuovi comuni e una buona parte della provincia andrebbero a formare la “grande Roma”, governata dal sindaco di Roma e che diventerebbe la nuova regione capitolina, soppiantando di fatto il Lazio, regione quest’ultima che potrebbe sparire – con le altre province inglobate in Toscana, Umbria, Abruzzo e Campania – oppure governata a parte.

Livello 2: fondi e poteri speciali – L’altro tema, spinoso, è quello dei soldi. Dal 2014, ogni anno il Comune di Roma riceve dal governo nazionale 110 milioni di euro per finanziare gli extracosti dovuti al suo “ruolo di Capitale”, fondi che servono a “risarcire” la città rispetto alle spese sostenute per supportare (e sopportare) tutta la macchina diplomatica nazionale e internazionale, garantire la sicurezza rispetto ad eventi e manifestazioni. L’obiettivo, a quanto si apprende, è rimpinguare questo fondo con altri 100 milioni l’anno, portandolo così a 210 milioni e lasciando intatta la gestione governativa del debito commissariato, che si esaurirà nel 2044.

Poi c’è il tema dei poteri. Come le altre 21 regioni italiane – si intendono separate le province autonome di Trento e Bolzano – la “grande Roma” agirebbe autonomamente sulla gestione dei rifiuti, andrebbe ad attingere direttamente al fondo nazionale trasporti e potrebbe legiferare esattamente come fanno le Regioni. Anche la macchina burocratica andrebbe a costare di più, visto che gli stipendi dei consiglieri comunali passerebbero dagli attuali 1.200 euro al mese (con tutti i gettoni raccolti) agli oltre 8mila euro assegnati ai loro colleghi seduti in consiglio regionale.

Livello 3: le grandi opere – Il terzo pallino del gruppo di lavoro messo insieme dal ministro Boccia è quello delle opere pubbliche e della modernizzazione della capitale d’Italia. Secondo chi sta lavorando alla riforma, lo Stato italiano dovrebbe finanziare la realizzazione delle principali opere cittadine nei settori dei trasporti e dei rifiuti. Gli esempi sono le linee della metropolitana e le ferrovie urbane che necessitano di dimensioni superiori (e quindi di una spesa più ampia) rispetto alle altre città italiane.

Altro tema su cui la città di Roma andrebbe finanziata è quello della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, anche attraverso la possibilità di assumere personale da dedicare alla raccolta differenziata. E poi alla rigenerazione urbana, con lo stop alla politica di espansione del territorio e fondi governativi destinati alla riqualificazione edilizia, con un particolare occhio all’emergenza abitativa.

Obiettivo: le elezioni 2021 – Lo schema di Boccia è frutto di una sintesi fra le proposte storiche del Partito democratico, quella espressa da Walter Tocci ai tempi di Francesco Rutelli, di Roberto Morassut formalizzata nella passata legislatura, e di Umberto Marroni, contenuta nel libro “OraRoma – 100 progetti per la città”. E il tema sta particolarmente a cuore al Pd di Nicola Zingaretti.

Riuscire ad approvare la riforma entro la fine del 2020, con un testo che resti ancorato alla Costituzione per non evitare complicazioni procedurali impossibili da affrontare, permetterebbe ai dem di proporre al M5s un “patto per Roma” in vista delle elezioni di giugno 2021 ed evitare che l’opa sulla Capitale lanciata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni si concretizzi.

Il profilo del candidato sindaco, a sentire i dem, sarebbe quello di “un uomo forte non di destra”, descrizione che somiglia tantissimo a quella di Franco Gabrielli. L’attuale capo della polizia di recente viene tirato in ballo come candidato ad ogni poltrona vacante, anche se a Roma è stato prefetto nella delicata fase post Mafia capitale e per questo motivo potrebbe essere gradito a una “coalizione civica” in chiave anti-destra.

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