di Giacomo Franceschini*

Kagabandoro è una cittadina di poco più di 20mila abitanti, a 245 km a Nord di Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana. Le strade al mattino sono affollate da gente che va in tutte le direzioni; nuvole di bambini si dirigono verso scuola. Ci dirigiamo anche noi in una delle scuole in cui Intersos permette ad oltre 500 bambini di ricominciare un percorso di studio. Nella Repubblica Centrafricana, infatti, solo tre bambini su cinque vanno a scuola, e solo sei su cento concludono le scuole secondarie. La maggior parte degli insegnanti qualificati resta nella capitale, perché il timore di spostarsi nelle zone interne è ancora molto elevato.

Molti bambini in età scolare, per vari motivi, non frequentano la scuola, in alcuni casi da anni. Per Intersos riportarli a scuola significa innanzitutto toglierli dalla strada, metterli in un posto sicuro per una parte della giornata e intraprendere con loro un primo passo verso la normalità. Le scuole di Intersos, qui a Kagabandoro, si chiamano écoles passerelle, ovvero un periodo scolastico di recupero della durata di sei mesi per evitare il ritorno all’analfabetismo dovuto all’abbandono, al termine del quale, attraverso un test, una commissione decide in quale classe inserire il bambino.

Nonostante ci siano fino a 80 alunni per classe, non si sente “volare una mosca”. Sono attenti, sguardo fisso a seguire quello che il maestro sta scrivendo alla lavagna. Hanno una lavagnetta e un gessetto ciascuno, oltre a qualche libro che circola per la classe. Le bambine hanno le treccine curate, il vestitino o la maglietta migliori: sembra impossibile che arrivino dai campi polverosi per sfollati e dalle baracche del quartiere. Ciascuno di loro ha vissuto, e vive, storie personali e familiari drammatiche. Qui, dentro queste quattro mura, oltre ad imparare a leggere e a scrivere, ritornano ad essere bambini, con i loro sogni e le loro fantasie.

Per chi invece ha lasciato la scuola da molti anni, ed è ormai troppo grande per ritornarci, Intersos ha pensato a scuole professionali, che permettano l’inserimento nel mondo del lavoro. Siamo al centro di formazione di taglio e cucito che Intersos ha creato: una tettoia tra le chiassose bancherelle del mercato, con una decina di tavoli allineati, diversi ragazzi e ragazze chini sulle macchine da cucire, le vecchie Singer di una volta.

Tra loro ci sono anche due ex bambini soldato, liberati solo da pochi mesi: Oscar e Samira. Fino a tre mesi fa erano nemici. Oscar, che oggi ha 16 anni, ha combattuto per cinque anni tra le fila degli Antibalaka (le milizie cristiane) per vendicare l’uccisione dei propri familiari, e Samira, che oggi ha 17 anni, si è arruolata ed è stata per cinque anni tra le fila Ex-Seleka (milizie musulmane).

Samira dal fronte è tornata con un bambino. Se un kalashnikov divideva Oscar da Samira, ora una macchina da cucire li unisce. Lavorano e imparano gomito a gomito, come se il passato non fosse mai esistito e l’odio fosse un ricordo troppo lontano per portare rancore.

In un paese in cui la divisione dei cristiani dai musulmani sembra essere una regola (Pk5 è un quartiere musulmano nella capitale Bangui: campi divisi per gli sfollati delle due categorie, zone controllate da milizie musulmane il cui accesso ai cristiani è praticamente proibito o considerato molto pericoloso, così come per i musulmani per le zone a controllo cristiano) gli operatori di Intersos cercano, attraverso la scuola e i centri professionali, di ricucire un tessuto sociale completamente lacerato.

*Responsabile Ufficio Milano Intersos

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