“Il ddl Pillon è solo un tassello di un progetto politico più ampio e pericoloso che mina la libertà e i diritti di tutti e di tutte”. Sono le parole dette da Lella Palladino, presidente D.i.Re, alla conferenza stampa che si è svolta ieri in Senato, nella Sala dedicata ai Caduti di Nassiriya. L’evento è stato promosso da D.i.Re donne in rete e da UDI – Unione Donne in Italia, Rebel Network, Associazione Differenza Donna, Casa Internazionale delle Donne, Cgil Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Arci nazionale, Se Non Ora Quando – News, UIL – Unione Italiana del Lavoro, Arcilesbica Roma – Gruppo Come Voi.

“Oggi siamo qua non solo per parlare del disegno di legge Pillon – ha detto Lella Palladino –  ma anche per contrastare il tentativo storico, culturale e legislativo di ripristinare un ordine naturale delle cose, così come lo abbiamo visto rappresentare al vergognoso congresso delle famiglie di Verona. Un ordine naturale che spinge le donne lontano dallo spazio pubblico e dal mondo del lavoro, per relegarle di nuovo nel lavoro di cura e risolvere così in un colpo solo il problema della disoccupazione e dei tagli allo stato sociale. Chiediamo che sia ascoltata la voce delle donne che sono al fianco di quelle che subiscono violenza ma se non ci ascolteranno non ci fermeremo. Chiederemo al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di non firmare una legge che vìola la Convenzione di Istanbul e l’articolo 3 della Costituzione e ricorreremo alla Corte Costituzionale. Non permetteremo a nessuno di passare sopra i corpi e la libertà delle donne”.

Ieri è ripartita la mobilitazione sia dentro che fuori i palazzi, dove si decide sui diritti delle donne. In piazza Montecitorio gruppi di donne si sono riunite per manifestare contro il ddl Pillon continuando una protesta che da mesi unisce un fronte ampio di centri antiviolenza, associazioni, sindacati e attiviste che dicono no a Pillon e all’oscurantismo della Lega e chiedono chiarezza al suo alleato di governo. Il Movimento 5 Stelle tra ignavia, adesione agli stessi obiettivi politici e opportunismi non ferma i tentativi di azzerare i diritti delle donne. Pare non sappiano che pesci pigliare.

Ieri la discussione prevista sul ddl Pillon, in Commissione Giustizia, ha avuto una battuta d’arresto. Non è una vittoria ma solo una pausa: tutto è stato solo rinviato a settembre, quando sarà presentato un testo unificato che dovrà accorpare il ddl Pillon con gli altri sei disegni di legge correlati e con le osservazioni portate nelle audizioni che si sono svolte nei mesi scorsi. Un testo che non si discosterà molto dal ddl 735 (detto appunto Pillon) perché proprio la Commissione Giustizia ha chiesto al senatore Pillon di redigerlo. I testi che si sarebbero dovuti discutere ieri erano “superati” e si doveva lavorare ad un testo unico: così i pentastellati hanno motivato lo slittamento della discussione.

Dopo lo stop del sottosegretario alle Pari Opportunità, Vincenzo Spadafora, che il 1° aprile scorso aveva dichiarato: “Il ddl Pillon è archiviato”, il Movimento 5 Stelle non ha mai preso una posizione contro il ddl Pillon. Ma è arrivato il momento di cessare ogni ambiguità: o si vogliono difendere i diritti delle donne, dei bambini e delle vittime di violenza, o si vuole contribuire ad azzerarli. I pentastellati si assumano le responsabilità politiche e smettano di fare cerchiobottismi sulla pelle delle donne e dei bambini che sono vittime di violenza.

D.i.Re donne in rete contro la violenza e altre 16 associazioni hanno anche inviato una lettera alla Special Rapporteur sulla violenza contro le donne e alla Presidente del Gruppo di lavoro Onu sulla discriminazione delle donne, denunciando l’evasiva e opaca risposta del governo italiano alle osservazioni che erano state mosse dagli stessi rappresentanti Onu sulle violazioni delle Convenzioni internazionali contenute del ddl Pillon. Dallo scorso mese di settembre le attiviste dei Centri antiviolenza, i rappresentanti della magistratura, avvocati, sindacati denunciano i pericoli di un disegno di legge che – se approvato – non solo sarà sbilanciato a favore del coniuge economicamente più forte, ma metterà molti ostacoli sul cammino delle donne vittime di violenza familiare.

Ma il rischio più grande è il riconoscimento dell’alienazione parentale che nel disegno di legge (articolo 17 e 18)  prevede l’allontanamento dei minori e l’affido in case famiglia nel caso che rifiutino un genitore, senza che vengano indagati  i motivi del rifiuto. Una legge che censura la paura dei bambini e – voglio ricordare – le giovanissime vittime che avevano paura del padre e sono state uccise perché le istituzioni non hanno saputo riconoscere le violenze paterne o hanno difeso i diritti di padri violenti al prezzo delle loro vite: Federico Barakat, Andrea e Davide Iacovone, Alessia e Martina Capasso. Se sarà approvata una legge che impone ai bambini di frequentare genitore violento,  i bambini e le donne vittime di violenza non saranno protetti da violenze, abusi, ricatti.

La Pas o Ap, nelle sue mutevoli forme – tanto che si potrebbe anche chiamare “la cosa” –  è un costrutto senza fondamento scientifico non riconosciuto da ben due sentenze della Cassazione che  continua a trovare spazio nei tribunali civili: se un bambino rifiuta un genitore, la colpa è dell’altro che lo ha manipolato. Durante le separazioni giudiziali, le Ctu chiamate a decidere quale sia il genitore più idoneo non solo non tengono conto della violenza all’interno delle relazioni; ma se un bambino rifiuta il padre, senza approfondire i motivi, accusano le madri di Pas (o Ap) e tolgono loro i figli. Solitamente le Ctu indicano al giudice di inserire i bambini nelle case famiglia.

Sono procedure che violano i diritti dei bambini, delle donne e madri vittime di violenza e che sono “vere e proprie violazioni dei diritti umani a cielo aperto”, come ha ben spiegato Antonella Penati, presidente di Federico nel Cuore, intervenuta alla conferenza stampa. Il problema non è solo il disegno di legge Pillon, ma un disegno politico più ampio che attacca i diritti delle donne e di altri soggetti, come per esempio la comunità Lgbti, e punta a ripristinare un neopatriarcato che mette al centro di ogni politica il maschio, bianco ed eterosessuale.

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Da ieri è ripartita la mobilitazione delle attiviste dei centri antiviolenza D.i.Re, di Non una di meno, della società civile che non vuole arretrare: settembre si preannuncia caldo.

@nadiesdaa

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