Mara, la chiamerò così, si separa sei anni fa dal marito e lo denuncia per stalking. Comincia una causa civile per decidere sull’affidamento del figlio e viene disposta una Ctu (consulente tecnico). Il procedimento si conclude con la decadenza della responsabilità genitoriale di Mara e la disposizione di nominare un tutore che si dovrà occupare del minore, che rischia di essere allontanato dalla madre e inserito in una struttura protetta.  Il motivo? Il figlio ha paura del padre e non vuole vederlo e ne spiega i motivi ai periti e alle assistenti sociali. Mara alla fine viene bollata come madre alienante e persino i nonni materni vengono ritenuti tali.

Ogni lunedì mattina, da mesi, Mara grida tutta la sua rabbia fuori del Tribunale dei minorenni di Roma denunciando sette anni di calvario, di relazioni dei servizi sociali, di percorsi di psicoterapia per il figlio, di perizie, di valutazioni. “Ci scandalizziamo dell’inchiesta di Reggio Emilia? Ma venite a vedere che cosa avviene alle madri in tutti i tribunali italiani. C’è una famiglia che è sotto assedio da sei anni, un calvario che si è concluso con la decadenza della mia responsabilità genitoriale – racconta Mara – A mio figlio è stato assegnato un tutore come se fossi la peggiore delle criminali ma è un bambino che va bene a scuola, che ha amici e relazioni, che non ha problemi. L’ho portato dalla psicoterapeuta indicata dal servizio sociale che ha affermato che mio figlio non aveva nessun bisogno di terapia eppure ora trascorrerà un’estate d’inferno tra terapeuti ed educatori perché per colpire me, lo hanno definito uno psicopatico. Ogni cosa che ho fatto è stata usata contro di me. Ho seguito tutte le indicazioni e le prescrizioni del tribunale ed è stato detto che è stata solo una adesione formale. Ero seguita dal Centro antiviolenza e mi è stato detto che ci andavo per evitare di andare a lavorare, ho dovuto vendere una casa per pagare le spese legali e delle Ctp, per difendermi dalle accuse che mi venivano rivolte. Sono stata derisa e accusata di cercare denaro per far la guerra al mio ex. Nei tribunali italiani le donne non hanno nemmeno il diritto alla difesa: dobbiamo solo piegarci, rassegnarci alla violenza, sennò perdiamo i figli”.

Mara è seguita da un Centro antiviolenza di Roma e spiega che la sua denuncia non è stata presa in considerazione in sede civile. La giudice – dice Mara – le ha “suggerito caldamente” di ritirare la querela. Nessuno ha il diritto di chiedere o suggerire ad una donna di ritirare la querela e se c’è una denuncia penale non si è in una situazione di conflitto. E’ persino banale scriverlo. Mara spiega come le madri siano sotto attacco: “Quando denunciano violenze familiari, se il figlio rifiuta il padre, spesso finiscono ostaggio di perizie già orientate ideologicamente sul costrutto della alienazione genitoriale. Bollate come alienanti, finiscono col perdere il figlio che viene inserito nelle Case Famiglia”.

La Pas, o Ap, o Conflitto di lealtà o Sindrome della Madre Malevola, è un costrutto privo di validità scientifica. Definito dai suoi adepti inizialmente come patologia del bambino, poi come patologia della relazione tra madre e figlio e talvolta come un comportamento (che però non deve mai essere dimostrato), continua ad essere applicato nei tribunali. Tutto questo accade spesso in assenza di una indagine seria e approfondita sui motivi del rifiuto paterno. A maggio la Cassazione, che già si era pronunciata nel 2013 contro la validità della Pas, si è espressa nuovamente, accogliendo il ricorso di una madre che aveva perso l’affidamento del figlio per una accusa di Pas.

La sentenza n. 13274/2019 ha precisato che “il giudice, nel momento in cui deve la consulenza tecnica concluda per una diagnosi che non è supportata dalla scienza medica ufficiale, è tenuto ad approfondire per verificarne il fondamento. Non si può inoltre concludere per l’affidamento esclusivo del minore al padre basandosi solo su un giudizio non debitamente motivato d’inadeguatezza della madre, in un contesto di tale conflittualità. Così come non si può trascurare di rinnovare l’ascolto del minore a distanza di quasi due anni dalla prima audizione in un procedimento in cui devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano”. La Cassazione ha anche accolto “la doglianza relativa al motivo per il quale il giudice d’appello ha disposto l’affidamento esclusivo al padre, poiché basato esclusivamente sulla condotta della madre, la quale in realtà, come emerso dalle risultanze probatorie, non è stata sufficientemente supportata dai consulenti tecnici nominati nel giudizio di primo grado che si sono mostrati rigidi e severi con la stessa, trascurando la sua condizione psicologica” ed hanno ritenuto che “il tempo trascorso dall’audizione del minore e la stessa violazione del principio di bigenitorialità non può comportare la soppressione ‘ad ogni costo’ della volontà del minore ultradodicenne”.

Ma le sentenze della Cassazione, la Convenzione di Istanbul che indica di tenere conto della violenza nei procedimenti per l’affidamento dei minori, e la Convenzione dei diritti dell’Infanzia che prescrive l’ascolto delle opinioni del minore, restano lettera morta e accade spesso. Se il diritto si ferma fuori dalle mura dei tribunali abbiamo un problema. Se la Pas, o Ap, o Conflitto di lealtà in uno dei suoi tanti travestimenti è diventata il cavallo di Troia per vanificare le tutele di chi subisce violenza siamo di fronte ad una perversione del sistema. Questo avviene quando le conseguenze del trauma della violenza assistita o subita dai bambini vengono fatte ricadere come una colpa sulle madri. Non è l’uomo violento che deve assumersi la responsabilità della paura e del rifiuto del figlio ma è la madre che deve farsi garante della relazione tra il padre e il figlio. Solo i malvagi, i violenti e i corrotti, possono pensare che l’amore possa essere estorto o imposto.

Sui social sempre più donne scrivono che è meglio non denunciare le violenze, piegarsi per non perdere i figli. Sono in atto tentativi di restaurazione patriarcale ai quali  dobbiamo opporci con la nostra forza e  le nostre competenze e senza lasciare le donne sole.

@nadiesdaa

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