L’articolo 116 comma 3 della Costituzione prevede che le forme di autonomia rafforzata debbano essere “coerenti con i principi dell’art. 119 della Costituzione”. Quindi “non sembra consentire una diversa modalità di finanziamento delle materie aggiuntive né la loro sottrazione al meccanismo di perequazione interregionale previsto dalla legge nazionale”. In ogni caso, prima di procedere sul percorso di autonomia caro alla Lega occorre un’analisi costi-benefici e una “riflessione attenta” sulla devoluzione agli enti locali di materie molto difficili da “spacchettare”, come “il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Sono gli avvertimenti arrivati dal rappresentante della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti nel corso dell’audizione a Palazzo San Macuto davanti alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale sulle procedure per la definizione dell’autonomia differenziata nelle regioni a statuto ordinario.

La Corte, rappresentata in audizione dal presidente sezione Autonomie funzione di coordinamento Maurizio Graffeo e i consiglieri Adelisa Corsetti, Alfredo Grasselli e Andrea Petrella, ha chiesto “un approfondimento sia sui contenuti delle funzioni trasferite, poiché si vanno a toccare delicati profili di rilievo costituzionale, sia sul rispetto di alcuni inderogabili principi (uguaglianza, unità e indivisibilità della Repubblica, mantenimento degli equilibri e della sostenibilità della finanza pubblica), sia sulla ripartizione delle competenze tra Stato e regioni”.

Nel testo della memoria si ammette che “l’attribuzione di ulteriori funzioni e competenze dovrebbe essere riconosciuta alle Regioni che si dimostrino in grado di esercitarle con un grado di efficienza operativa superiore rispetto alla gestione accentrata. Questa prospettiva, muovendo dall’interesse dei cittadini a veder meglio soddisfatte le proprie esigenze e trovando presidio a livello costituzionale, appare condivisibile nelle linee generali. Dall’esame dei testi disponibili emerge tuttavia che le questioni si presentano più complesse rispetto ad una mera elencazione di materie”. Infatti “le richieste delle Regioni sono finalizzate ad estendere la potestà legislativa regionale sugli ambiti di competenza concorrente, sostanzialmente per rinegoziare nuovi “spazi” di intervento. Per di più, talune materie, di competenza sia concorrente, sia esclusiva, definite come devolvibili, non sembrano così facilmente “spacchettabili”, come “il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”: in tal senso appare necessaria una riflessione attenta su questo profilo”, scrive la Corte dei Conti.

“Gli schemi di intesa resi pubblici il 25 febbraio 2019 si limitano ad indicare un quadro generale di riferimento, mentre manca una definizione degli effetti in termini di risorse finanziarie, e la conseguente valutazione della possibilità di ricadute sulla destinazione del personale e sulle risorse strumentali”, nota la Corte. “In particolare, si prevede che il finanziamento delle funzioni trasferite, fermo restando il principio di invarianza della spesa (comma 2), sarà determinato dalla Commissione paritetica Stato-Regione in base ai criteri specificati nell’art. 5 di ciascuna bozza di intesa. In sede di prima applicazione sarà considerata la spesa storica dello Stato nel territorio regionale (art. 5, comma 1, lett. a), mentre, a regime, il criterio guida sarà costituito dai fabbisogni standard, che dovranno essere determinati, per ciascuna materia, da un Comitato nazionale Stato-Regioni entro un anno dall’entrata in vigore dei decreti attuativi. Come norma di chiusura, nel caso di mancata determinazione dei fabbisogni standard, decorsi tre anni dall’intesa, il finanziamento sarà fissato a un livello non inferiore alla media pro capite nazionale della spesa statale corrispondente alle funzioni attribuite”. Ma “al verificarsi dell’ultima ipotesi (spesa media pro capite in assenza della determinazione dei fabbisogni standard), le risorse finanziarie che lo Stato dovrebbe trasferire alle Regioni ad autonomia differenziata potrebbero risultare superiori a quelle attualmente spese in quei territori”. Va poi “valutato il rischio che dall’operazione si producano extra costi a parità del livello di servizio erogato, mentre risulta difficile valutare, in assenza della definizione dei livelli delle prestazioni, se a fronte di un efficientamento nel trasferimento della funzione si possano generare miglioramenti dei livelli dei servizi erogati”.

Tutto considerato, “al di là della formula di stile dell’invarianza della spesa, è di tutta evidenza che” l’autonomia differenziata delle regioni è “una ristrutturazione organizzativa ad ampio raggio”. Per avere “il successo sperato” sarà necessario “un notevole impegno anche sul versante della spesa, pur se non di immediata percezione sotto il profilo finanziario, che dovrebbe essere oggetto di una preventiva analisi costi-benefici”. In ogni caso, secondo la magistratura contabile, “è necessario che sia previsto un adeguato sistema di monitoraggio/rendicontazione che garantisca in modo oggettivo la trasparenza delle attività svolte e dei risultati conseguiti”. La Corte, in quanto organo di rilevanza costituzionale garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario dell’intero settore pubblico, si è dichiarata “pronta ad offrire un essenziale contributo per monitorare l’effettiva realizzabilità e sostenibilità del nuovo disegno ordinamentale ancora in fieri, riservandosi di riferire al Parlamento sugli sviluppi del processo di riforma”.

“È necessario esaminare – prosegue la Corte dei Conti – come in concreto nel percorso che si sta delineando venga attuato il principio di sussidiarietà al fine di verificarne la compatibilità con altri preminenti principi costituzionali; resta inoltre da valutare quali possano essere gli impatti delle iniziative progettate sulla finanza pubblica e, quindi, verificare la loro effettiva sostenibilità”. Ad avviso della Corte appare prioritario che il procedimento di finanziamento delle Regioni trovi “un suo adeguato assestamento con l’attuazione del complesso sistema di finanziamento e perequazione delle Regioni a statuto ordinario (RSO) nelle materie diverse dalla sanità (assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale), nonché con il consolidamento della perequazione, compresa quella infrastrutturale”. Ma, soprattutto, per la Corte dei Conti è necessaria la definizione degli schemi di perequazione regionale, distinti tra spese Lep (fondate sui fabbisogni standard) e spese non Lep (basate sulla capacità fiscale), “in quanto condizione propedeutica per la completa ed effettiva realizzazione del federalismo fiscale”.

Inoltre per i magistrati contabili, “a valle delle intese in corso dovranno essere emanate leggi di approvazione dell’intesa e potrà prendere avvio il complesso processo per rendere operativo l’ampio disegno di autonomia differenziata. La concreta definizione dovrebbe avvenire con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri secondo il modello di federalismo amministrativo a Costituzione invariata introdotto dalla legge delega n. 59 del 1997”. Infine, nella memoria depositata al termine dell’audizione davanti alla Commissione per il federalismo fiscale, la Corte fa notare come un tema che in questa fase risulta rilevante è quello della effettiva capacità della contabilità degli enti decentrati di rappresentare in modo chiaro e trasparente gli esiti della gestione, “in quanto ciò è funzionale ad una lettura del funzionamento complessivo del sistema che ha potenziato l’autonomia finanziaria e la responsabilità fiscale di Regioni ed Enti Locali”.

Per l’individuazione delle idonee modalità di finanziamento del regionalismo differenziato, appare indispensabile secondo la magistratura contabile “un raccordo con quanto previsto dalla legge n. 42/2009, istitutiva del federalismo fiscale e il d.lgs. n. 68/2011, che definisce il funzionamento in tema di federalismo regionale, ancorché le relative disposizioni non siano richiamate tra le premesse delle intese formalizzate nel mese di febbraio 2019″.

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