“Siamo cresciuti con la consapevolezza che andando al governo si poteva fare tutto, è arrivato il momento di fare i conti con la realtà”. Sono passate più di due ore dall’inizio dell’assemblea degli attivisti M5s di Milano e Luigi Di Maio passeggia avanti e indietro sul palco del Teatro Menotti con il microfono in mano. E’ venerdì 5 luglio e lui partecipa a uno dei tanti eventi territoriali per la riorganizzazione del Movimento. Ha ascoltato decine di interventi e, sapendo che ai giornalisti è stato vietato tassativamente l’ingresso, quando è il suo turno si lascia andare più del solito. Parla di tutto, dalla sconfitta alle Europee al futuro. Ma soprattutto, come un martello, chiede “umiltà”: “Non vi incazzate. Siamo al governo, ma non governiamo in nessuna regione e in 50 su 8mila comuni. E’ normale che ci siano decisioni che non passano da noi”. Per Di Maio serve sì “un’organizzazione”, ma è solo “un punto di partenza”, magari iniziando con la selezione di 80 referenti regionali e coinvolgendo più persone possibile. “Non ho mai visto una forza politica che più si chiude tra i puri e più va avanti”. E ancora: “Non condivido tutto questo clima di nostalgia: torniamo ma dove? Andiamo avanti”. Ad un certo punto della sua arringa, gli attivisti che lo accusano da una parte e lui che cerca di tenerli agganciati al Movimento dall’altra, lo dice chiaro: “Scusatemi per questo tono, cerco solo di trasferirvi i termini delle decisioni di ogni giorno”.

Il caso Pride – Non da ultima, quella che ha creato molti malumori nel gruppo di Milano: chiedere di non usare il simbolo M5s per il Gay Pride cittadino. “Io non l’ho usato neppure alle manifestazioni per la pace”, si giustifica evocando la necessità di rappresentare “tutte le anime del Movimento”. Il capo politico 5 stelle, proprio perché lui stesso era tra i primi attivisti, sa quanto è importante che dietro di lui ci sia una base compatta. Ed è loro, la platea, che cerca di riconquistare. Quindi fa una scelta: riattacca l’ex deputato M5s Alessandro Di Battista (qui il VIDEO), nonostante fino a poche ore prima avesse ribadito a microfoni accesi che erano in pace, e lo descrive come “uno che non è salito con lui sul palco alle Europee e poi va in giro per l’Italia a presentare libri”. Quindi disegna un quadro di governo dove loro, i 5 stelle, hanno fatto 8 leggi su 10 ma nessuno ne parla. “Ma non ci posso fare niente se fa più notizia una barca di 40 persone che uno che blocca le trivelle in mare”. E si pone come l’unico argine di Salvini, che addirittura con una battuta chiama “il principale esponente dello schieramento avverso”, mentre fa il verso alla sfortunata espressione usata nel 2008 da Veltroni per chiamare Berlusconi. Chiude con una promessa e un nuovo attacco a Di Battista: “Non voglio dire che non ci sono problemi, ce ne sono un mare. Ma io credo di essermi almeno guadagnato il diritto di dirlo. Negli ultimi sei anni io ho dedicato ogni ora della mia vita a questa storia. A differenza di altri che hanno fatto scelte legittime e che io invidio pure, io non mi sono sottratto neanche un’ora. E ce la metterò tutta per fare in modo che questo Movimento possa camminare sempre di più sulle sue gambe”.

Le “cattiverie” e l’analisi del voto – Di Maio inizia l’intervento parlando dei pericoli di chi si avvicina al M5s, ora come in passato, ed è in malafede. “Il Movimento è una grandissima cosa, ma quando è nato non aveva fatto i conti con l’animo umano. Io in questi anni ho visto cose assurde, cattiverie gratuite o meno”. L’esordio del suo discorso è però principalmente sull’analisi del voto: “Prima di tutto ottimismo, cazzo. Abbiamo tutti i difetti del mondo, però non colpevolizziamoci. Perché altrimenti stiamo dicendo che tutti i gruppi territoriali hanno perso, hanno sbagliato, hanno subito vessazioni da Roma in su. Mentre da Roma in giù stanno facendo un lavoro incredibile. Io ve lo dico: di questo risultato, non ve ne ammalate. I voti molto spesso non seguono quello che è il lavoro sul territorio o in Parlamento”. Fino qui lo seguono. Poi aggiunge: “Vi posso dire la verità? Io sono quello più incazzato di tutti. Abbiamo fatto 8 leggi su 10 in Parlamento. E sapete dove sta il problema? In un tema che nessuno di voi ha citato: si chiama immigrazione”. La sala comincia a rumoreggiare. E allora Di Maio si corregge: “Io non dico che quello è il motivo per cui perdiamo voti. Lungi da me semplificare. Però non ne avete parlato”. Dalla sala una attivista grida: “Coerenza”. E il leader deve fermarsi, finché lo fanno ricominciare. 

L’eterna accusa del “dobbiamo comunicare meglio” – “Dobbiamo metterci l’anima in pace su questo. Noi siamo sempre stati attaccati dai media. Ma c’è un altro problema: molti dei provvedimenti che abbiamo fatto non è che siano molto popolari. Il reddito di cittadinanza si rivolge a 5 milioni di persone, il salario minimo a 3 milioni, la legge anti corruzione a tutti e nessuno. Molti dei provvedimenti si rivolgono a delle nicchie, che però sono quelle che faranno ripartire il Paese”. Poi continua: “A me non importa che quella persona che ha preso il reddito di cittadinanza abbia votato Salvini. L’importante è che abbia l’aiuto che meritava. Noi l’abbiamo fatto per questo. Fare 8 leggi su 10 significa rendere impopolare il Movimento. Siamo di fronte a un bivio storico: l’interesse della forza politica o l’interesse del Paese? Il primo vuol dire non fare niente”.

“Non sanzionerò ma un autore Rai perché parla male del Movimento” – La Rai e l’annunciata, ma per ora mancata, cacciata della politica è un tasto dolente per il M5s. “Se qualcuno vuole che il problema si risolva solo cacciando qualcuno dalla Rai che parla male di noi, vuol dire fare come Renzi e Berlusconi. Fare editti. Noi non vogliamo cambiare la Rai mettendoci gente che parla bene di noi. Noi vogliamo metterci gente indipendente”. Ma per il momento la situazione non è come si aspettavano: “Sapete come funziona in Rai? Siccome tutti dicono che la Lega governerà da sola, tutti si sono buttati di là. Ma questo è l’animo umano e io non lo posso sanzionare. E non sanzionerò mai un autore o un conduttore perché parla male del Movimento 5 stelle. Questo è quello che hanno fatto quelli di prima. Dovremo fare una legge e la faremo con cui diremo che la politica non nomina più nessuno in Rai”. Parla al futuro e chiede tempo. Faranno quella legge, come quella per i vaccini. “Abbiamo altri 4 anni per fare quello che non abbiamo fatto finora”.

Il nodo irrisolto del Tap – Tra i punti che vengono contestati a Di Maio: l’aver fatto retromarcia sulla costruzione del gasdotto in Puglia. “A Melendugno”, risponde lui, “siamo la prima forza politica, e la seconda si chiama Lega ed è pro Tap. Evitiamo analisi scontate. Il tema è che quando abbiamo detto No Tap non c’erano le leggi che si sono fatte poi quando eravamo all’opposizione. I trattati internazionali. Questo è stato un problema. O pensate che ci siamo venduti alle lobby del gas?”. La sala si mette a ridere e grida “no”. “Allora o non avevamo voglia di farlo, e non mi sembra. O forse non avevamo le possibilità”.

Il caso Gay Pride a Milano e il simbolo vietato al carro M5s – Un’altra delle accuse fatte al leader dagli attivisti è quella di aver cambiato linea sui diritti civili. La ferita a Milano nasce da un episodio recente: il gruppo milanese ha partecipato al Gay Pride cittadino con le magliette del Movimento, ma Di Maio e i vertici hanno chiesto di non usare il simbolo sul carro. Di questo gli chiedono conto durante la serata. “Il Movimento è per i diritti civili di tutti”, replica quasi gridando. “E quando si è trattato di dare la delega alle Pari opportunità, io ho lottato con le unghie e con i denti per farla andare a un sottosegretario del Movimento e non della Lega”. E rivela: “Quando si è fatto il contratto di governo, li abbiamo salvati noi non mettendoli nel contratto. Perché con questi al governo tornavamo indietro di 20 anni, non andavamo avanti. Non siamo mai stati contro la legge sull’aborto e mai contro le unioni civili. E io non giudico una maglietta che ci si mette addosso, ma se leggo sul giornale che si fa un carro al Gay Pride con i simboli del Movimento…io non mi sono mai permesso neanche alla marcia della pace di usare il simbolo”. E si giustifica parlando della necessità di rappresentare le varie anime del M5s: “Perché in un territorio, finché non abbiamo un’organizzazione, siamo tutti uguali e ci sono rischi uguali per tutti”. Ma, chiude, “non mi posso sentir dire che, siccome ho negato un simbolo su un carro, ho cambiato la linea sui diritti civili e sto discriminando i gay”. Il problema, secondo lui, “è che si costituisce un precedente”. “Quando in questi anni non abbiamo acconsentito delle cose, non era per il fatto in sé. Era per l’effetto domino. Siamo troppo piccoli, abbiamo dieci anni. Pensiamo di saper già fare tutto: oh, ci vuole un po’ di umiltà”. E ancora, chiede di smetterla con la storia che “se sei del Movimento sei superiore”.

L’organizzazione, perché e come – “Io non credo che la riorganizzazione ci farà prendere più voti. Io voglio solo che il Movimento sia più efficace sul territorio. Se c’è uno che ha un problema, deve avere una catena di distribuzione per arrivare alla soluzione”. Sul tanto citato argomento della revisione dei due mandati fa un solo passaggio: “Come idea ottimale per me non dovrebbe esserci nessun eletto, nessuno che ha la possibilità di farsi due mandati. Ma significa che finito il secondo mandato, in tutta Italia abbiamo dieci persone”. Poi dice, “voi vorreste che tutti facessero prima un passaggio in consiglio comunale”. Ma non ci sono abbastanza persone per coprire tutte le liste. “E poi abbiamo un altro problema. Non c’è un euro, non ci sono i soldi”. Quello dei finanziamenti è un tasto dolente e in tanti contestano il fatto che le donazioni dei parlamentari vadano per la piattaforma Rousseau: “Perché in Rousseau ci sono e qui no? Perché non stiamo parlando di cassa centrale, ma di soldi sul territorio che devono stipendiare le persone. E finché non avremo una struttura organizzativa, non saremo mai in grado di seguirla. E significa che questi soldi cominceranno ad andare da qualche parte, o credete che visto che siamo il Movimento 5 stelle siamo immuni da qualsiasi cattiva intenzione?”. Pure sulla votazione esclusiva a chi è un vero attivista è perplesso: “Solo gli attivisti veri devono decidere? Rousseau ha 100mila iscritti. Qualcuno di questi ai Meetup non ci vuole venire. Cosa dobbiamo fare? Gli dobbiamo sparare? O ci facciamo un esame di coscienza. Su 8mila comuni abbiamo tra i 200 e i 400 meetup. Vuol dire che su molti comuni non ci siamo. Poi vogliamo ridurre la partecipazione in rete a chi davvero è attivista? 9mila persone. Continuiamo a chiuderci nel nostro cerchio. Non ho mai visto una forza politica che più si chiude tra i puri e più va avanti. Una cosa che non condivido è tutto questo clima di nostalgia: ‘dobbiamo tornare, dobbiamo tornare’. Ma dove? Quando non avevamo governo o gruppo parlamentare? Serve prendere bene il passato e innovarsi”. Di Maio si giustifica anche di fronte a una delle accuse più longeve: il perché alcune liste non vengano certificate e perché non ricevano le motivazioni dell’esclusione. “Se io so che sei indagato, non ti posso notificare qual è il motivo per cui non ti ho certificato la lista. Se no tu impugni quelle mail e vinci. Però io intanto nel Movimento non ti faccio entrare. E questo è stato il motivo per cui abbiamo avuto un solo caso di corruzione in dieci anni: Marcello De Vito (consigliere comunale di Roma ndr) che è stato espulso subito da me, che non potevo farlo e che magari mi farà pure causa. E sarà reintegrato”.

Le liti per il simbolo e il perché non si può fare “l’azionariato diffuso di Rousseau” – Un punto delicato per gli attivisti è chi controlla la piattaforma e perché non possono farlo gli attivisti come promesso: “Io sono d’accordo che Rousseau debba essere patrimonio di tutti. Ma questo è lo strumento che ci è stato lasciato da Gianroberto ed è lo strumento che stiamo ancora sviluppando”. Ma di chi è il Movimento? “Il nuovo statuto che avete votato nel 2017, lo sapete perché lo abbiamo fatto? Sempre per il discorso dell’animo umano. Avevamo gente che ci ha trascinato in tribunale, a Genova c’è la causa ancora in corso, perché voleva appropriarsi del nostro simbolo. E tuttora ci sta provando. Se ci siamo dovuti riorganizzare e blindare è perché stavamo rischiando di perdere il simbolo, stavamo rischiando che io non mi potessi neanche presentare alle elezioni politiche. E abbiamo dovuto fare il nuovo statuto. E siamo ancora in causa sul vecchio simbolo, che ha BeppeGrillo.it e non Blogdellestelle.it. Questa non è una cosa che abbiamo deciso perché ci andava così. Ma perché abbiamo dovuto affrontare una difficoltà enorme”. E conclude: “Vogliamo fare l’azionariato diffuso di Rousseau? Mi dovete garantire che non finirà in mani di gente in malafede. Perché quello ce l’ha lasciato Gianroberto ed è un dono”. La nuova organizzazione, per quello che ha in testa Di Maio, dovrà fare questo: proteggere il Movimento da chi ha cattive intenzioni. E pure da chi “lo ha lasciato solo” per presentare libri o “per fare altre scelte”.

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