Quarantamila euro per i lavori a casa dell’amica, addebitati alla ditta che in quel periodo si stava occupando del palazzo di Giustizia a Roma. È la nuova contestazione della procura di Perugia nei confronti del pm Luca Palamara. Secondo l’accusa, a coprire le spese per i lavori di ristrutturazione dell’appartamento di Adele Attisani è stato l’imprenditore Fabrizio Centofanti, lo stesso che – sempre secondo l’indagine dei magistrati umbri – ha pagato una serie di benefit per l’ex presidente dell’Anm, tra cui soggiorni in hotel di lusso, gioielli e viaggi. A leggere la ricostruzione dei magistrati umbri, il pubblico ministero romano rischia di vedersi accusato di un nuovo episodio di corruzione

Ancora una volta è il trojan installato nello smartphone di Palamara ad aprire la pista, ma questa volta ci sono anche i documenti acquisiti durante le perquisizioni a corroborare l’accusa, perché dalle carte risulterebbe che a saldare i conti non siano stati né Attisani né l’ex presidente dell’Anm. Così durante gli interrogatori, i pm di Perugia hanno chiesto conto dell’anomalia a Palamara che ha confermato: “Sì, sono stati fatti lavori nella casa di Adele e lei si è organizzata con Centofanti, ma una parte li ho pagati io”.

E ancora: “Sui lavori mi riferivo alla casa di Adele rispetto ai quali ho cercato di aiutarla, non sono in grado di quantificare, ogni tanto le davo 400, 500 euro e ho chiesto a Centofanti di aiutarla nel limite del possibile, nel senso di mandarle degli operai e trovare qualcuno per i lavori – ha spiegato Palamara – Le ho dato ogni tanto delle somme, che non so quantificare, non so nulla delle fatture, io non volevo comparire sui lavori”.  

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, però, dopo che l’appartamento di Attisani era stato preso di mira dai ladri, Centofanti si era messo a disposizione di Palamara per aiutare la donna e aveva contattato una ditta che in quel periodo stava lavorando all’interno del palazzo di Giustizia di Roma. E i 40mila euro – è sempre la tesi dei magistrati – sarebbero stati inseriti nel costo dell’appalto pubblico. La versione di Palamara è invece che l’imprenditore “mi ha consentito in alcuni momenti di concedermi momenti di svago, ma non gli ho mai consentito di vendersi l’amicizia per me”. Anzi, sottolinea il pm romano, “a volte pagavo io, a volte pagava lui” e “gli chiedevo sempre di stare attento a non mettermi in difficoltà e avevo un rapporto solo con lui”. Mentre sui pagamenti in contanti, ricostruiti dall’accusa, ha riferito: “Lo facevo per non lasciare traccia di acquisti e pernottamenti quando non ero con la famiglia”.

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