D’estate, nelle belle giornate con il tempo stabile, la foto-shock di centinaia scalatori in fila come formichine sull’Everest potrebbe venire scattata quotidianamente sul Monte Bianco: l’assembramento si forma ormai da anni intorno ai 4.810 metri del tetto d’Europa. Date le conseguenze, gli incidenti spesso mortali, l’inquinamento di un ambiente che era estremo, le risse e l’invivibilità nei rifugi, le autorità francesi di Chamonix, cui fa capo la via di salita più semplice e più frequentata, hanno deciso di regolamentare quest’ennesima situazione degenerata di un’attività un tempo nobile come l’alpinismo, oggi diventata globale e di massa.

Grossomodo, adesso per tentare la salita al Bianco dalla Normale francese bisogna aver prenotato per tempo e pagato il rifugio o uno dei 200 posti tenda preparati, e mostrare di avere materiali e carte in regola – ovvero per esempio di essere una guida ufficialmente registrata come operatore internazionale – altrimenti si rischiano multe salatissime, soprattutto se ci si rivolta contro i gendarmi che vengono impiegati per la vigilanza in loco. Un complesso di regole che contribuisce sì a rimettere un po’ d’ordine, ma soprattutto che fornisce una cornice funzionale al grande giro d’affari delle salite organizzate da Chamonix, che i turisti da tutto il mondo pagano profumatamente.

Può sembrare un vezzo assurdo, mentre il mondo va come sta andando, preoccuparsi dei nuovi divieti sul Monte Bianco, che riguardano, peraltro, una piccola tribù, fortunata e privilegiata, come quella dei cosiddetti alpinisti. Eppure c’è anche chi si è scandalizzato, nei giorni scorsi, collegando le durissime multe che i gendarmi francesi del gruppo d’alta montagna di Chamonix ora minacciano (con importi da 300 a 300mila euro, per gli scalatori senza materiali o prenotazione nei rifugi, nonché per aspiranti campeggiatori abusivi), a un piccolo episodio marginale, come la sanzione di 38 euro inflitta a un ricco cafone svizzero che è voluto atterrare con il suo aeroplanino qualche centinaio di metri sotto la vetta, per fare solo l’ultimo tratto della salita.

C’è da dire che, come sono stati avvertiti del fatto, gli uomini della Gendarmerie sono volati in elicottero a fermare l’ali-scalatore briatoresco e i suoi amici, che hanno dovuto rimettere corde e piccozza nello zaino prima di tornarsene in Svizzera con le pive nel sacco, ossia senza aver conquistato la cima tanto ambita. La mancata sanzione classista al trasvolatore elvetico è stata mascherata dal fatto che non ci sono ancora leggi che consentono di punire severamente i voli non autorizzati, ma fa semplicemente parte di una politica che applica il laissez faire solo ai ricchi, che siano appassionati di eli-ski o di salite organizzate dalle agenzie. Alla fine è quella sorta di regime consumista-liberistico globale del dio denaro, che ha trasformato anche la salita al Bianco da Chamonix in una sorta di orribile brutta copia delle scalate turistiche agli Ottomila himalayani.

Nell’ambiente alpinistico, invece di affrontare le questioni di fondo, da due-tre anni impazzano le polemiche sulla svolta restrittiva imposta dalle autorità francesi. Casomai, però, il problema – nei giorni estivi di bel tempo come questi – è quello dei rischi legati al riscaldamento globale, e ben altri divieti radicali s’annunciano (per esempio, l’intera seraccata glaciale delle Grandes Jourasses sul versante italiano è a rischio crollo). Altro che affollamento, maleducazione e regole eccessivi, il dramma dell’alpinismo oggi è in primo luogo quello stesso del pianeta, soprattutto in quota: basta guardare le temperature di questi giorni, con lo zero termico che ormai arriva a 5mila metri! Se non rigela nemmeno di notte, andare a muoversi in mezzo ai ghiacciai è puramente una scelta folle, non si capisce nemmeno come razionalmente si possa ancora pensare di farlo: gli alpinisti tutti, per non rischiar la vita, ormai devono scegliere sempre più spesso, e ovunque, di andare in bianco, con la b minuscola.

Peccato che le polemiche si concentrino sempre sulle bagattelle economiche, eludendo la questione ecologica. E’ quanto succede, guarda caso, anche per le Olimpiadi invernali del 2026: ma di questo converrà riparlarne seriamente a parte.

Articolo Precedente

Clima, Greenpeace Italia in azione su una trivella: “Ci state bruciando il futuro. Stop combustibili fossili”

next
Articolo Successivo

Ecofuturo 2019, come trasformare gli scarti dell’agricoltura in energia? Il futuro e le prospettive del biogas

next