Altro che morte per malnutrizione o epilessia. Per i periti della famiglia Cucchi sono ipotesi che non hanno fondamento scientifico. Al contrario, rivendicano i consulenti, “senza il pestaggio subito” il giovane geometra romano “Stefano Cucchi non sarebbe morto“. Lo hanno rivendicato nel corso dell’ultima udienza del processo bis, in corso nell’Aula bunker di Rebibbia, a Roma. “Le cause del decesso di Stefano Cucchi? Lui è stato picchiato, le lesioni che ha prodotto il pestaggio sono state delle fratture a livello vertebrale. Quindi l’iter è stato questo: traumi, fratture, vescica neurogena, blocco del sistema nervoso autonomo, arresto cardiaco“, ha spiegato Vittorio Fineschi, medico legale all’Università de La Sapienza di Roma e consulente della famiglia Cucchi.
E ancora: “Insostenibile è anche l’ipotesi di una morte per Sudep (‘Sudden Unexpected Death in Epilepsy‘, ovvero morte improvvisa e inattesa di soggetti che soffrono di epilessia)”, ha aggiunto il neurologo Alessandro Rossi, altro consulente della famiglia Cucchi. “La progressione della bradicardia (causa ultima della morte di Stefano Cucchi) è legata al trauma sacrale che aveva”, ha sottolineato.
Tesi opposta, invece, per i periti delle difese, secondo cui i “traumi non c’entrano” con la morte di Cucchi. “Per noi è escluso che l’evento traumatico entri nel meccanismo causale”, ha rivendicato Enrico Marinelli. Secondo i consulenti delle difese, l’aritmia che ha condotto alla morte di Cucchi sarebbe stata così causata da fattori come l’estrema magrezza e la disidratazione. Parole contestate dall’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo: “Ridicolo e imbarazzante sostenere che il pestaggio non abbia avuto alcuna influenza sulla morte”, ha attaccato il legale. Al termine dell’udienza, è stata poi indicata la data in cui sarà emesso il verdetto, atteso per il prossimo 14 novembre. Slittata a dopo la pausa estiva, invece, la requisitoria del pm Giovanni Musarò, in calendario per il 20 settembre
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