È una caccia al tesoro trovare la chiesa del Sacro Cuore di Gesù ai Mannesi, all’angolo del Decumano inferiore, quartiere Forcella, davanti a un murales di San Gennaro che ammicca, tra lavori in corso, Via Duomo chiusa al traffico, a sinistra il grigio bugnato del Museo Filangieri, davanti la chiesa paleocristiana di San Giorgio Maggiore, un ingresso ancora sacrificato, ma alla fine la costanza è premiata e ci troviamo davanti un gioiellino neogotico con i suoi innesti moreschi da renderla davvero unica.

Riapre, dopo mezzo secolo, la chiesa del Sacro cuore di Gesù ai Mannesi, nel quartiere Forcella di Napoli. Il luogo era abbandonato, sconsacrato, ci dormivano senzatetto e cani randagi, a un certo punto stava per diventare una palestra. Ora, il gioiello neogotico, con innesti moreschi unici, è stato inaugurato con un un docufilm dedicato a Enrico Caruso, il tenore napoletano che iniziò a cantare proprio nel coro della chiesa.

La rinascita è stata possibile grazie al laborioso restauro finanziato dal bresciano Vitaliano Guidoni e dal napoletano Antonio De Luise. Tutto sotto la supervisione di Roberta Lencioni, professore di letteratura italiana alla Federico II. Il “privato” in soccorso quando il “pubblico” latita. Roberta ama visceralmente questa “creatura” di cui ne percepisce il fascino, la forza: “Fin dai tempi remoti qui si è costruito, distrutto e ricostruito ai fini di culto. Quando i padri crociferi nel ‘500 con la vistosa croce in panno rosso su svolazzanti tonache nere si aggiravano misericordiosi…”.

A valorizzare il luogo di culto ci hanno pensato Laura Valente e Enzo D’Errico con la quarta edizione della rassegna Casa Corriere, che conta già molti fedelissimi follower. Valente, presidente Fondazione Donna Regina per le Arti Contemporanee e animatrice ha già spalancato le porte di luoghi simbolo di Napoli sbarrati da anni. D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno, sta cambiando pelle al giornalismo non solo locale. E così, “A voce alta, ma senza urlare”, diventa il titolo della rassegna.

Il docufilm dell’inaugurazione racconta l’infanzia di Caruso a Napoli, quando a 10 anni lavora in una fonderia e il pomeriggio canta nel coro. Più tardi, sarà l’America a consacrarlo come il grande tenore del secolo. Una storia di riscatto sulla quale calerà il sipario troppo presto. Caruso morirà a 48 anni e i funerali a Piazza Plebiscito saranno degni di un re. La Valente, che firma la regia del docufilm, è volata a New York per scovare pezzi di repertorio assolutamente inediti.

Dall’effetto rouge della navata del Sacro Cuore mi tuffo nel blu dipinto di blu del meraviglioso chiostro della Certosa di San Martino. È un omaggio al blu di Renato Balestra al quale il museo dedica una mostra di bellissimi abiti haute couture. Il “ragazzo” Balestra da enfant prodige a prodige tout court, 95 anni di creatività (quando l’età è un calcolo sbagliato dell’anagrafe) riceve, con la direttrice del museo Rita Pastorelli e con Dario Cusani , deus ex machina della Fondazione Cusani Onlus, il principe Carlo di Borbone delle due Sicilie. Davanti a loro sfilano pomposi abiti settecenteschi rispolverati dagli archivi. Sullo sfondo orchestra e coro del San Carlo danno il meglio delle note. Fa freddo, sento dire “Qui tra un po’ nevica”, ma è la musica del maestro Morricone a regalarci i brividi. Gli invitati alla corte B&B sono attesi a Palazzo Petrucci, pied danno l’eau nel golfo di Posillipo, dove lo chef pluristellato Lino Scarallo li attovaglia per una calamarata sfettucciata, un ragù di astice e una cassata scomposta. Peccato, per gli esclusi dalla grande abbuffata (anche di titoli e palle nobiliari).

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