Il capo dello Stato Sergio Mattarella, accolto da una standing ovation. Il premier Giuseppe Conte. Il vice Luigi Di Maio. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e la titolare della pa Giulia Bongiorno. Tutti all’assemblea di Confindustria a Roma. Dal palco, davanti alla platea degli industriali, il leader M5s ostenta una linea moderata – “Non ho mai pensato che occorra rinunciare alla disciplina dei conti pubblici” – e incassa dal presidente Vincenzo Boccia, alla sua ultima assise, un giudizio parzialmente positivo sul decreto Crescita e sullo Sblocca cantieri. Mentre il numero uno di viale dell’Astronomia, chiaramente all’indirizzo del vicepremier Matteo Salvini, ammonisce sul fatto che “le parole di chi governa non sono mai neutre, influenzano le decisioni di investitori, imprenditori, famiglie”, e “le parole che producono sfiducia” – vedi le dichiarazioni del leader leghista su debito e deficit con immediati riflessi sullo spread – “sono contro l’interesse nazionale“. Conte dal canto suo si dice “ferocemente determinato” a superare l’obiettivo di crescita dello 0,2% previsto nel Def e raccoglie l’invito di Boccia “affinché l’Italia sia più protagonista sullo scenario europeo che sta cambiando e che si profila una sfida innovatrice”.

Di Maio: “Superare posizioni frutto di pregiudizio ideologico” – “La nostra sfida più grande risiede nella contaminazione delle idee, nel dialogo costante e a volte nel compromesso“, apre Di Maio, “perché la realtà ci insegna ogni giorno in modo chiaro e semplice che senza confronto e dialogo questo Paese non lo possiamo governare”. E ancora: “Un no assoluto e pregiudizievole non è nelle mie corde né per le infrastrutture” – chiaro il richiamo alla Tav – “né per il mantenimento in funzione di un impianto, né per accordi commerciali. È il momento di essere pragmatici e superare alcune posizioni frutto del pregiudizio ideologico. Credo che ogni volta, caso per caso, per le nostre imprese, per i nostri lavoratori, per la crescita e per l’occupazione si debbano considerare le ricadute”. “Per noi il governo è un tutt’uno”, è il commento di Boccia. “Questo gioco che il governo fa anche l’opposizione con noi non fa presa. Le scelte del governo sono le scelte del governo. Se si farà la Tav, sarà una scelta del governo che apprezzeremo, se non si farà sarà una scelta del governo che noi criticheremo”. 

Anche se, aggiunge il vicepremier, “è innegabile che il liberismo senza regole ha creato squilibri, costringendo paesi come il nostro a subire dumping. Il lavoro è stato spesso acquistato dove era più conveniente e questi fenomeni hanno penalizzato molti paesi sviluppati, causando perdita di occupazione“. Di conseguenza “quello che vogliamo e chiediamo con forza alle istituzioni europee non è una risposta con il ritorno al protezionismo“, ma è una spinta al mercato che sia “equa e reciproca”. Poi la promessa: “Lavoreremo per dare all’Italia una carica di commissario Ue in settori come industria, imprenditoria, commercio, mercato interno, perché l’Italia deve riappropriarsi di un ruolo che ci consenta di orientare la politica industriale europea“. Tuttavia l’Unione europea “ha un futuro solo se, superata l’emergenza delle misure introdotte con la crisi del 2008 e lo stringente Fiscal Compact del 2012, rivede alcuni parametri di misurazione con l’esclusione dal conteggio del deficit degli investimenti che fanno crescere il capitale strutturale e umano”.

Boccia: “Per rispettare regole Ue serve manovra da almeno 32 miliardi” – Boccia dal canto suo concede che con il decreto Crescita e lo Sblocca Cantieri il governo ha imboccato la “strada giusta”. “Non mancano debolezze, contraddizioni e il consueto rinvio a una molteplicità di provvedimenti attuativi. E’ presto ancora valutare quanto potranno essere efficaci e influire sull’aumento del pil”, in un contesto in cui “il Paese non riparte con lo slancio dovuto, necessario, che è alla nostra portata, che ci meritiamo”. Ma “sono primi segnali positivi, che sembrano superare una visione pregiudiziale verso l’attività di impresa”. Non manca il consueto avvertimento sui conti pubblici: “Se l’Italia volesse rispettare alla lettera le regole europee previste dal patto di stabilità e crescita dovrebbe fare una manovra strutturale per il 2020 da almeno 32 miliardi di euro: una manovra imponente con effetti recessivi“. Quindi “dobbiamo dirci con franchezza che non ci sono scelte semplici o indolori con la prossima legge di bilancio”. 

Poi Boccia si dice pronto a ragionare su “una maggiore compartecipazione alla spesa pubblica per le classi più abbienti, partendo da sanità, università e trasporto locale, per finanziare una generale riduzione del carico fiscale“. Il piano proposto dal leader degli industriali è una ricetta classica: “la riduzione del costo del lavoro”, “un piano shock per grandi infrastrutture e piccole opere, con modalità di erogazione snelle e tempi rapidi”, raddoppio in tre anni del numero degli Its, diecimila assunzioni di giovani qualificati nella pa, taglio dei tempi della giustizia, “una spending review di legislatura con meccanismi premiali per i funzionari che generano efficienza”, valorizzazione degli asset di cui dispongono le regioni e gli enti locali. Ancora, “eliminiamo il dumping contrattuale, prevediamo la detassazione e la decontribuzione totale dei premi di risultato”, “creiamo meccanismi ancora più efficaci di contrasto all’evasione fiscale“, “facciamo dell’autonomia differenziata una leva di competitività ed efficienza”, “accettiamo la sfida della sostenibilità”.

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