“Che hai fattu allu pacciu! Come lo hanno combinato!”. Un gruppo Whatsapp, un fiume di messaggi e video, è l’archivio delle violenze subite da Antonio Cosimo Stano. È lui “lu pacciu” di Manduria, come lo chiamavano, l’uomo di 66 anni morto tre giorni fa in ospedale dopo essere stato trovato dagli agenti di polizia il 6 aprile scorso solo in casa e in condizioni disperate. Sono indagati 14 giovani, 12 minorenni e due maggiorenni, per i reati di omicidio preterintenzionale, stalking, lesioni personali, rapina, violazione di domicilio e danneggiamento. Il bullismo, le violenze con calci, pugni e persino bastoni, sono in gran parte in quel gruppo Whatsapp

Un cappuccio in testa, gli schiaffi. Qualcuno colpisce, altri ridono. Ancora gli sgambetti, le spinte per farlo cadere. Altri calci. La Repubblica descrive così un video girato dagli indagati a febbraio scorso. “Perché vieni sempre da me?“, chiede Antonio completamente paralizzato. Andavano da lui “per passare il tempo“, riporta un messaggio. “Che facciamo? Stasera sciamu tutti dallu pacciu”, si scrivevano tra smile e risate. In un altro video, raccontato dal Corriere della Sera, si vede un gruppo di ragazzi entrare in casa con un tubo flessibile: tutti urlano, il tubo viene usato come una frusta, sbattuto per terra e poi anche addosso all’uomo. Ancora urla a pochi centimetri dalle sue orecchie. Nelle chat, riportate dai due quotidiani, si parla anche di un furto: 300 euro, o forse 30. È uno degli ultimi episodi.

Antonio Cosimo Stano era ormai talmente terrorizzato da quei ragazzi da non uscire più di casa, neanche per la spesa. Il 66enne era un dipendente dell’Arsenale militare in pensione e soffriva di un disagio psichico. Per via di quelle violenze andava più nemmeno a fare la spesa. Gli episodi cominciarono già nel 2012, secondo alcuni, due anni fa per altri. In casa o per strada. Comunque un lasso di tempo lungo, in cui il tutto è avvenuto nell’indifferenza dei vicini e dei conoscenti di Antonio.

Molti abitanti di Manduria esprimono rabbia e indignazione nei confronti dei protagonisti delle violenze e di quanti, pur essendo a conoscenza delle aggressioni, non abbiano fatto abbastanza per impedirle. Roberto Dimitri, educatore nella parrocchia di San Giovanni Bosco, racconta a Repubblica: “Personalmente ho ripreso tante volte i ragazzi che bullizzavano il signore, chiamato le forze dell’ordine e chiamato i genitori, ma senza risultati”. Chi indaga si chiede come mai non sia arrivata “nemmeno una segnalazione, visto che le persecuzioni andavano avanti da anni”.

La chiamata è arrivata troppo tardi, quando i vicini ormai da tempo non vedevano più Antonio. Il 6 aprile i poliziotti del Commissariato sono entrati nell’appartamento dell’uomo: hanno dovuto bussare più volte, convincerlo che non gli avrebbero fatto del male, prima di farsi aprire. Li ha accolti seduto su una sedia, in uno stato psico-fisico precario e in condizioni di assoluto degrado. In casa non c’era nemmeno un letto, scrive Repubblica, solo un materasso poggiato al muro. Antonio dormiva su quella sedia e non aveva più il televisore: pure quello rubato, stando a un video, dai ragazzi. È morto dopo 18 giorni di ricovero nell’ospedale cittadino e due interventi chirurgici.

La vittima, secondo alcuni vicini di casa, era diventata bersaglio dei bulli sin dal 2012. Dichiarazioni che sono al vaglio delle due Procure – quella per i minori e quella ordinaria – che si occupano della vicenda. Venerdì è stata eseguita l’autopsia dal medico legale di Bari, Liliana Innamorato, ma ci vorranno ulteriori esami di laboratorio per stabilire se la morte del 66enne sia stata causata dai traumi subiti a seguito delle aggressioni oppure, ad esempio, dallo stato di prostrazione e di degrado in cui l’anziano era caduto dopo essere stato bullizzato. Il capo d’imputazione, come spiegato dall’avvocato Lorenzo Bullo che assiste cinque minori e uno dei maggiorenni indagati, “è provvisorio. L’ultimo episodio di percosse che si ipotizza risalirebbe a febbraio“.

Il procuratore Carlo Maria Capristo che segue le imputazioni per i maggiorenne, mentre Pina Montanaro è a capo della procura dei minori, promette “mano pesante“. “I fatti sono gravissimi, non trascureremo niente e non lasceremo spazio al buonismo. Quell’uomo aveva bisogno soltanto di un po’ di umanità“, ha dichiarato. Lasciando spazio alla possibilità che possano esserci anche altri indagati: un giovane, racconta il Corriere, ha svelato l’identità di chi si vede nei video, anche se poi non ha firmato la deposizione. L’ipotesi è che Antonio fosse diventato l’oggetto di una sorta di competizione tra più comitive che facevano a gara a realizzare l’azione più eclatante.

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