Niente manifestazione per la liberazione dal nazifascismo ma una tour della Sicilia a primavera inoltrata. Dove casualmente si vota per le amministrative dopo tre giorni. Matteo Salvini , però, non fa cenno alla campagna elettorale ma utilizzala lotta a Cosa nostra per giustificare la sua presenza sull’isola il 25 aprile. “La lotta a camorra, ‘ndrangheta e mafia è la nostra ragione di vita. Il 25 aprile non sarò a sfilare qua o là, fazzoletti rossi, fazzoletti verdi, neri, gialli e bianchi. Vado a Corleone a sostenere le forze dell’ordine nel cuore della Sicilia”, ha detto il ministro dell’Interno alla fine della festa della polizia. Confermando quanto anticipato già ieri dal sottosegretario Stefano Candiani. “Il vicepremier sarà in Sicilia il 25 e 26 aprile a dimostrazione della importanza che ha la Sicilia per la Lega”, ha detto l’uomo inviato dalla provicia di Varese a commissariare il partito nella Regione più a Sud d’Italia. Dove curiosamente il 25 aprile del 1945 non ci fu alcuna liberazione: l’isola, infatti, era già passata agli Alleati dal settembre del 1943.

Riferimenti storici a parte, la scelta del ministro dell’Interno non è piaciuta – chiaramente –  l’Associazione nazionale partigiani. “È istituzionalmente doveroso che Salvini esca dalla sua brutale propaganda contro una festa nazionale che ricorda tante donne e uomini sacrificatisi per ridare all’Italia la libertà sottratta dalla violenza e dai crimini del fascismo e del nazismo”, dice Carla Nespolo. “La liberazione dalla mafia è una battaglia quotidiana, come ci testimonia continuamente don Luigi Ciotti, condotta con passione e impegno da magistrati, forze dell’ordine, giornalisti e sacerdoti. Non è uno strumento retorico da usare per non onorare con il dovuto rispetto l’antifascismo e la lotta partigiana”, aggiunge la presidente dell’Anpi. Critica Salvini anche Emanuiele Fiano del Pd: “Sconcerta – dice il dem – che Salvini si ricordi del suo ruolo per la lotta alle mafie in modo strumentale solo per offuscare il valore di una giornata storica e alimentare in modo sempre più netto la negazione del valore dell’antifascismo come fondamento della Repubblica. Mentre il continuare a negarlo è il fondamento della nuova internazionale nera di cui Salvini vorrebbe essere il leader in Europa”.

Per la verità la polemica sugli esponenti di governo che non vanno al 25 aprile è ormai datata. Silvio Berlusconi, per esempio, non andò mai a marciare per ricordare la fine dell’occupazione. Tranne una volta: nel 2009 a Onna, frazione di L’Aquila, appena colpita dal terremoto e nel 1945 di strage di civili fatta dalla Wermacht in ritirata.  “I tempi sono maturi perché la festa della liberazione diventi festa di libertà”, disse l’allora premier, parlando per la volta di “resistenza” come valore “fondante della Costituzione”. Ovviamente Berlusconi ci tenne a sottolineare che meritavano rispetto “tutti i combattenti, fossero essi partigiani o repubblichini, perché questo non vuol dire essere neutrali”. Parole molto diverse da quelle utilizzate per esempio nel 2000, quando a Porta a Porta Fausto Bertinotti ricordò al leader di Forza Italia l’episodio dei fratelli Cervi  “uccisi dai fascisti“. “Sarò felicissimo di andare a trovare papà Cervi, nobilissima figura che ha tanto sofferto”, disse Berlusconi costringendo il leader di Rifondiziano a ricordargli: “Presidente, papà Cervi è morto da tanto tempo e i fratelli Cervi furono uccisi nel ’43”.

Chi invece alle manifestazioni del 25 aprile andò nonostante gli insulti e le spinte fu il predecessore di Salvini: Umberto Bossi. Era il 1994 e il centrodestra aveva appena vinto le elezioni. Il centrosinistra provò a reagire alla batosta mobilitando il suo popolo per il 25 aprile, prima manifestazione antifascista da quando un partito dichiaratamente erede del Movimento sociale – cioè Alleanza Nazionale – era al governo. Al Carroccio, però, quell’alleanza con gli uomini di Gianfranco Fini – in coalizione con Forza Italia al Sud, mentre a Nord Berlusconi si presentò coi leghisti – non era mai andata giù. D’altra parte Bossi era pur sempre uno che da giovane aveva militato nel Partito di Unità Proletaria per il comunismo. E il 25 aprile del 1994, 200 leghisti si presentarono alla manifestazione di Milano. Ovviamente l’accoglienza non fu delle migliori. E ai leghisti che si lamentarono per essere stati malmenani, il senatur rispose: “Ma sì, le manifestazioni popolari sono così, normale che ci sia un po’ di rabbia. Ma il nostro posto è lì, noi siamo antifascisti“. Una parola, antifascista, che il suo successore non riesce proprio a pronunciare.

 

 

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