Il Campidoglio trema, ma Virginia Raggi spingerà per andare avanti. Almeno per ora. Servirà un confronto con la maggioranza e con i vertici pentastellati. E per questo le prossime 72 ore saranno decisive. Ma se è vero che qualcuno spinge per una “soluzione-Polverini” (la governatrice del Lazio che nel 2012, dopo l’esplosione dello scandalo sui rimborso, andò in Consiglio regionale a dimettersi al grido di “ve manno a casa tutti”), è altrettanto noto all’interno del Movimento – e non solo – che, stando così le cose, con gli arresti di Marcello De Vito e dell’ “influencer” Gianluca Bardelli, a crollare è l’opposizione interna a Virginia Raggi. Quella più netta e rancorosa. E questa verità, dalle parti di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio cosi come nelle riunioni di maggioranza, non potrà non contare. Anzi. “È la pagina più brutta del Movimento Cinque Stelle”, ha riferito il consigliere M5S, Pietro Calabresi, uno dei più vicino alla sindaca: “Eventualmente stiamo parlando di una mela marcia. La Giunta andrà avanti? Lasciateci fare le valutazioni, nessuno ha fatto questo tipo di considerazioni”. La stessa Raggi, dicendosi “su tutte le furie“, conferma: “È noto che Marcello De Vito, come Roberta Lombardi, non mi amassero”.

IL QUADRO POLITICO – Dovranno essere d’accordo i consiglieri, ovviamente. E non solo. Il quadro di partenza, nel 2016, vedeva almeno una decina di “lombardiani” – De Vito era molto vicino all’ex deputata, leader riconosciuta degli “ortodossi” romani e dei meetup – presenti nel gruppo consiliare, sebbene con il passare del tempo il quadro sia mutato. A ieri, i fedelissimi rimasti erano l’ex capogruppo Paolo Ferrara e altri esponenti minori come Sara Seccia e Angelo Sturni. Ma è noto come nel M5S romano, i posizionamenti siano molto più fluidi rispetto agli altri partiti. Certo, le variabili politiche sono tante e imprevedibili. Dal Campidoglio trapela preoccupazione. “Se resta così, la situazione è gestibile. Ma se spuntano cose strane su altre persone vicine a Virginia, diventa complicata”, spiegano dal secondo piano di Palazzo Senatorio. Il riferimento, in particolare, è a Daniele Frongia e Luca Montuori, assessori rispettivamente allo Sport e all’Urbanistica, interlocutori istituzionali (e politici) obbligati – come emerge dall’ordinanza dell’operazione ‘Congiunzione Astrale’ – per portare a dama i progetti di cui De Vito si fa portavoce interessato che riguardano la cittadella del basket all’ex Fiera di Roma e la riqualificazione dell’antica stazione di Trastevere. Dai brogliacci emerge che Luca Parnasi si vantava del “buon rapporto” con Frongia (da sempre nemico giurato di De Vito) e che il presidente dell’Assemblea Capitolina aveva nella capo segreteria di Montuori, Gabriella Raggi – solo omonima della sindaca – un punto di riferimento nell’assessorato. Sia Frongia che Gabriella Raggi non risultano indagati.

PARNASI E IL “TAPPO” DI BERDINI – Il quadro generale che emerge dalle carte è che Marcello De Vito, in qualità di presidente d’Aula, si è fatto portavoce di gruppi di pressione votati allo sblocco di alcuni dossier bollenti presenti in Campidoglio. Ognuno dei quali ha una storia a sé. In primis quelli sponsorizzati da Luca Parnasi, ovvero il progetto dello Stadio dell’As Roma con la sponda di Luca Lanzalone e, in particolare, il trasferimento della sede di Acea Spa presso il business park progettato dai giallorossi a Tor di Valle; e la rivalutazione dell’ex Fiera di Roma, dove Parnasi voleva costruire un polo sportivo-musicale sfruttando la legge sugli stadi (la 147/2013) con un palazzetto da destinare alla Virtus Roma Basket di Claudio Toti (indagato pure lui). Il tappo, in entrambi i casi, era l’ex assessore all’Urbanistica, Paolo Berdini, oppostosi sia alla realizzazione dello stadio giallorosso sia, attraverso una delibera approvata ad agosto 2016, alla presunta speculazione edilizia presso l’area di via Cristoforo Colombo. E per questo motivo bisognava lavorare in Consiglio per superare gli ‘alt’ posti dall’urbanista durante i suoi 7-8 mesi di presenza in Campidoglio.

LA SPINTA DEI PALAZZINARI – Poi ci sono le questioni storiche, legate ad alcuni palazzinari che da sempre operano su Roma. Come i fratelli Pierluigi e Claudio Toti, che agli inizi degli anni 2000 – specie con Veltroni sindaco – oltre a ottenere qualche buon risultato sportivo nel basket con la Virtus Roma, hanno realizzato edifici e centri commerciali in diverse aree della città. Oltre a quel progetto per la riqualificazione degli ex Mercati Generali di via Ostiense su cui, nonostante le pressioni politiche di De Vito, Bardelli e – da quello che emerge dalle carte –  del forzista Davide Bordoni, la giunta pentastellata del Municipio VIII finisce per crollare trascinata via dalle dimissioni del presidente Paolo Pace (poi passato in Fdi). O come il piano per l’ex stazione Trastevere, promosso dall’immobiliarista Giuseppe Statuto, coinvolto nello scandalo su Mps, su cui fino a un mese fa – le ultime intercettazioni sono del 9 febbraio – si concentravano gli sforzi di De Vito e la corrispondenza con gli uffici di Montuori. Tutti dossier di cui ‘mister preferenze’ si era fatto portavoce.

CHE NE SARA’ DELLO STADIO DI TOR DI VALLE? – Se da un lato i romani si chiedono cosa ne sarà della Giunta Raggi, è probabile che in queste ore la prima preoccupazione di un buon 50% dei capitolini sia legato alle sorti dell’impianto giallorosso. Le radio sportive e i blog dall’ora di pranzo stanno rilanciando le parole del procuratore aggiunto Paolo Ielo: “L’As Roma, ora come allora, non c’entra nulla”. A leggere l’ordinanza del gip, non compaiono elementi votati a mettere ulteriori dubbi sull’iter del nuovo progetto – quello “sponsorizzato” dal super consulente Luca Lanzalone – che non siano emersi già nelle inchieste precedenti, se non nel lavoro “politico” di De Vito “per intervenire nell’iter amministrativo relativo alla realizzazione del progetto”. Ma è ovvio che adesso rischia di bloccarsi di nuovo tutto. Entro la primavera, infatti, la variante urbanistica indispensabile per l’avvio dei lavori sarebbe dovuta arrivare in Assemblea Capitolina – attualmente senza guida – ma se fino a qualche settimana fa il gruppo di contrari al progetto in maggioranza era composto da sei elementi, il rischio è che ora nessuno si vorrà più prendere la responsabilità di votare il provvedimento. A maggior ragione a leggere l’ordinanza del gip, dove emerge, fra i tanti elementi messi in luce dai pm, anche il voto positivo alla Delibera di dichiarazione di interesse pubblico per l’impianto di Tor di Valle.

LA MALEDIZIONE DI ‘MISTER PREFERENZE’ – Gli arresti di mercoledì mattina, infine, fanno emergere un altro dato non positivo per la città di Roma. Marcello De Vito, infatti, è il terzo ‘mister preferenze’ di fila a finire in carcere durante il proprio mandato in Aula Giulio Cesare. Il primo fu, nel 2012, Samuele Piccolo, eletto nel 2008 nelle file del Pdl con oltre 12.000 voti e finito in carcere per associazione a delinquere e finanziamento illecito ai partiti. A fine 2014, poi, è toccato a Mirko Coratti, come noto coinvolto nell’inchiesta su Mafia Capitale un anno e mezzo dopo essere stato eletto con oltre 6.000 voti in Assemblea Capitolina, al termine di un clamoroso percorso che lo portò da Forza Italia al Pd (in realtà, in quell’elezione la prima degli eletti fu la Dem Estella Marino, ma in realtà molte di quelle preferenze arrivarono sull’onda dell’omonimia con l’allora candidato sindaco, Ignazio). Destino fatale anche a De Vito, anche lui salito al colle capitolino con oltre 6.400 voti. Una statistica poco lusinghiera di cui non si può non tenere conto.

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