Brexit, altro giro, altra giostra. Finalmente il governo di Theresa May porta a casa un piccolo successo alla Camera dei Comuni col via libera – 412 i sì, 202 i no – a una mozione che gli consentirà di chiedere all’Ue un rinvio “breve” della Brexit, dal 29 marzo al 30 giugno, con l’obiettivo di riproporre intanto per la terza volta al voto di ratifica del Parlamento l’accordo di divorzio raggiunto con Bruxelles a novembre e già bocciato 2 volte, l’ultima delle quali nel gennaio scorso. Voto a questo punto in programma per la settima prossima.

A decidere sulla richiesta di rinvio sarà il Consiglio Ue ma un portavoce della Commissione Europea ha precisato che il rinvio della scadenza fissata in base ai termini previsti dall’articolo 50 non è automatico: spetterà ai leader dei 27 decidere e dovranno eventualmente farlo all’unanimità. Solo in seguito il Consiglio Europeo potrà prendere in considerazione questa richiesta dando la priorità all’esigenza di assicurare il funzionamento delle istituzioni europee e prendendo in esame le ragioni e la durata di una possibile estensione. La prima riunione utile del Consiglio Europeo è fissata per il 21 e 22 marzo prossimi a Bruxelles.

In giornata il presidente Donald Tusk aveva annunciato la propria disponibilità a lavorare per convincere i leader dei 27 Paesi a concedere la proroga: “Durante le mie consultazioni prima del Consiglio europeo – aveva scritto Tusk su Twitter – chiederò ai 27 leader dell’Ue di essere aperti per un’estensione lunga se il Regno Unito troverà necessario ripensare la propria strategia sulla Brexit e per costruire il consenso attorno a questa”.

La Camera dei Comuni ha detto no alla possibilità di un secondo referendum, almeno per ora, bocciando un emendamento trasversale presentato per collegare la richiesta di un rinvio dell’uscita dall’Ue proposta in una mozione destinata ad andare al voto più tardi alla convocazione di una nuova consultazione referendaria (“People’s Vote”) dopo quella del 2016. L’emendamento ha avuto appena 85 voti a favore e 334 contrari. Ha pesato l’astensione del Labour.

Nel secondo voto Westminster ha respinto di stretta misura un emendamento bipartisan alla mozione sulla richiesta di un rinvio della Brexit che avrebbe imposto al governo May di consentire al Parlamento di proporre “voti indicativi” su piani di divorzio dall’Ue diversi da quello della premier Tory. Obiettivo del documento, firmato fra gli altri dai laburisti eurofili Hilary Benn e Yvette Cooper, era verificare l’esistenza di “maggioranze trasversali” alternative.

La Camera ha quindi respinto di stretta misura, con 314 voti contro 311, un emendamento bipartisan alla mozione sul rinvio della Brexit che avrebbe imposto al governo May di limitare la richiesta all’Ue di slittamento al massimo fino al 30 giugno.

Non passa nemmeno l’emendamento promosso dal leader laburista Jeremy Corbyn per bloccare di fatto il tentativo della premier May di ripresentare una terza volta al voto del Parlamento la settimana prossima il suo accordo di divorzio dall’Ue dopo una doppia bocciatura. La proposta (che diceva ‘no’ al piano May, ‘no’ a qualunque ipotesi di no deal e ‘sì’ alla “ricerca di una maggioranza” parlamentare trasversale per “un approccio diverso”) ha avuto 302 voti a favore e 318 contro.

Negli stessi minuti in cui i deputati britannici procedevano alla votazione il capo negoziatore dell’Ue per la Brexit Michel Barnier affermava che di fronte a questa “situazione di incertezza, se siamo lucidi e responsabili ci dobbiamo preparare ad una Brexit senza accordo, perché il 29 marzo è vicino”. L’estensione sarà al voto stasera, “non mi permetto di intervenire su questo, ma voglio dire che la situazione è grave e che bisogna prepararsi” allo scenario di un ‘no deal’. “Siamo pronti, ma raccomando di non sottostimare le conseguenze”.

Articolo Precedente

Greta Thunberg vuole azioni forti e ha ragione. Destiniamo parte del bilancio Ue al clima

next
Articolo Successivo

Europee, al Pd servono aperture a sinistra. Ma non è ancora chiaro su chi e su cosa puntare

next