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Daniele Nardi, chi era l’alpinista italiano che ha perso la vita sul Nanga Parbat: tra l’ossessione per Albert Frederick Mummery e l’impegno nel sociale

L'alpinista italiano e il collega Tom Ballard hanno perso la vita nel tentativo di salire sul Nanga Parbat percorrendo lo sperone Mummery, una via mai percorsa prima, se non in discesa dai fratelli Messner, quando morì uno di loro, Gunther

di F. Q.

L’alpinismo rende alla mia vita quella poesia che non so pronunciare. Sono un privilegiato ad avere la possibilità di vivere della mia passione, senza questa musica poco altro avrebbe senso”. Parole di Daniele Nardi, l’alpinista italiano che insieme al collega Tom Ballard è stato dichiarato morto dall’ambasciatore italiano in Pakistan Giuseppe Pontecorvo. I due alpinisti hanno perso la vita nel tentativo di salire sul Nanga Parbat percorrendo lo sperone Mummery, una via mai percorsa prima, se non in discesa dai fratelli Messner, quando morì uno di loro, Gunther. Lo sperone deve il suo nome ad Albert Frederick Mummery: avanguardista, fu il primo a concepire un alpinismo in cui le vette si affrontano “by fair means” cioè con mezzi leali, con le proprie forze. Senza corde fisse, senza portatori e senza ossigeno. Fu, insomma, colui che mise le basi per lo “stile alpino“ ed era proprio “per onorare lui”, che per primo aveva tentato la salita dello sperone, che Nardi voleva compiere l’impresa.

Ma chi era Daniele  Nardi? Nato nel 1976 a Sezze, Daniele è stato il primo alpinista nella storia nato al di sotto del Po ad aver scalato l’Everest ed il K2, le due vette più alte al mondo. Primo ottomila scalato, il Cho Oyu, nel 2002. Una montagna che viene spesso chiamata “facile” anche se di facile nel mondo dell’alpinismo in stile alpino non c’è niente e il Cho Oyo è una vetta impervia, pericolosa, non si pensi a una passeggiata. Broad Peak (8.047 metri), Nanga Parbat (8.125 metri), la Middle dello Shisha Pangma (8027 metri) e il monte Aconcagua (la montagna più alta del Sud America) sono altre montagne scalate da Nardi.

Nardi ha partecipato alla spedizione Everest 2011:obiettivo? Posizionare la stazione di monitoraggio più alta del mondo, che invia dati in tempo reale sul clima alla Comunità Scientifica Internazionale. L’operazione ha raggiunto il suo target segnando un risultato storico e tutto italiano. Riconoscimenti ottenuti dall’alpinista tanti, ma quello che gli ha consentito di entrare nel novero dei più blasonati alpinisti del mondo è il ‘Piolet D’or‘, l’Oscar internazionale della montagna. Un premio che è stato il risultato di due progetti esplorativi, uno in Pakistan (apertura della Telegraph Road) ed uno in Italia (una nuova via sul Monte Rosa). Daniele era impegnato nel sociale: ambasciatore per i Diritti Umani nel mondo,  ha sostenuto progetti di solidarietà in Nepal e Pakistan. In ogni spedizione, ha sempre portato con sé l’Alta Bandiera dei Diritti Umani firmata da oltre 20.000 studenti incontrati nelle scuole del Lazio e insieme all’Associazione Arte e Cultura per i Diritti Umani Onlus, ha promosso la campagna mondiale Gioventù per i Diritti Umani con lo scopo di far conoscere ai giovani di tutto il mondo i 30 articoli della Dichiarazione Universale dei diritti umani in modo che i ragazzi possano diventare dei validi sostenitori della tolleranza e della pace. “Non fermarti non arrenderti, datti da fare perché il mondo ha bisogno di persone migliori che facciano sì che la pace sia una realtà e non soltanto un’idea, vale la pena farlo”: ecco le parole che Nardi aveva dedicato al figlio poco prima di partire per questa ultima spedizione sul Nanga, nel caso non fosse tornato.

Uscirà presto un libro che racconta le imprese di Nardi: scritto con Alessandra Carati per Einaudi Stile Libero, Daniele aveva chiesto che la storia venisse scritta, anzi completata, anche nel caso lui non fosse tornato dalla spedizione. £Un racconto che culmina – fa sapere la casa editrice – nella cronaca di un’impresa straordinaria, interrotta a poco dalla sua conclusione. Daniele praticava lo stile alpino, un modo ‘pulito’ di affrontare le montagne; il motto di Mummery ‘by fair means’ ha ispirato ogni suo passo. Ed era un visionario, come tutti i grandi esploratori”.

Quasi un’ossessione, quella di Nardi per lo sperone Mummery che ha tentato di scalare tre volte: nel 2013, raggiungendo con la Revol quota 6450, nel 2015 in solitaria, quando arrivò fino a quota 5950 metri, e infine nel 2016, di nuovo in solitaria, toccando quota 6200 metri. “Ho scalato lo sperone ma non sono riuscito ad arrivare sul plateux finale per arrivare in vetta – aveva detto Nardi durante una conferenza TED – e qui sta il vero motivo di andare in inverno sul Nanga Parbat a provare questa impresa: poter onorare Albert Frederick Mummery”.

 

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