Il 27 gennaio si celebra in Italia la Giornata della Memoria, riconosciuta grazie alla Legge n. 211 del 20 luglio 2000 per ricordare lo sterminio del popolo ebraico – la Shoah -, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte. Nonché coloro che anche in campi e schieramenti diversi si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Il legislatore dimentica di commemorare anche i 500mila rom e sinti vittime del genocidio nazifascista. Uno sterminio sconosciuto e dimenticato non solo nelle sale del Parlamento, ma anche nelle aule universitarie, considerato il profondo disinteresse storiografico che ha visto, come unica eccezione, il tenace lavoro di Luca Bravi. Lo storico toscano è riuscito, scavando dalle testimonianze taciute di testimoni diretti e indiretti, a ricostruire la trama di una storia segnata dalla persecuzione su base etnica che, in tempi e con modalità differenti, ha colpito le comunità rom e sinte in Italia nel ventennio fascista. Sono quattro i periodi del Porrajmos, la violenta azione che in Italia ha inghiottito nel vortice dello sterminio centinaia di famiglie colpevoli solo di appartenere a una “razza” giudicata senza speranza di conversione.

1. Il primo è inaugurato con la circolare del ministero degli Interni del 19 febbraio 1926, che dispone il respingimento delle carovane entrate nel territorio “anche se munite di regolare passaporto” e l’espulsione di quelle soggiornanti di origine straniera. Ogni persona rom può essere fermata per essere condotta presso gli Uffici di Pubblica Sicurezza per i controlli dei dati anagrafici, rilievi di eventuali precedenti penali e misurazioni antropometriche. Alcuni comuni italiani decidono di non registrare la nascita di bambini rom avvenuta sul proprio territorio. È degli anni successivi una circolare a firma di Benito Mussolini che allarma per la presenza di ebrei e rom in quanto potenziali spie attive contro lo Stato nazionale.

2. Il secondo periodo del Porrajmos è racchiuso tra il 1938 e il 1942 e risulta segnato da una pulizia etnica organizzata presso le frontiere. Famiglie rom istriane vengono deportate verso il confino in Sardegna, soprattutto tra le province di Nuoro e Sassari. Successivamente la misura si estende anche agli “zingari” intercettati nel Trentino Alto Adige. Nel 1942 parte da Lubiana un convoglio di rom alla volta del campo di concentramento di Tossicia, nel teramano. Qualche mese dopo viene inaugurato un altro campo di concentramento, quello di Gonars, dove vengono racchiuse famiglie rom istriane.

3. Il terzo periodo – in parte sovrapponibile al secondo – si inaugura con un ordine emanato l’11 settembre 1940 dal capo della Polizia nazionale che ordina, per i rom di nazionalità italiana “certa o presunta”, il rastrellamento “nel più breve tempo possibile” e il concentramento “sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte in ciascuna provincia”. Chi può scappa sulle montagne. La maggioranza viene rinchiusa in campi riservati agli “zingari“: Agnone (Isernia), Boiano (Campobasso), Tossicia (Teramo), Gonars (Udine), Prignano sulla Secchia (Modena), Berra (Ferrara).

4. L’ultimo periodo, il quarto, parla il drammatico linguaggio della “soluzione finale” verso i campi di sterminio. Un triangolo marrone serve a identificare i Brauner, insieme alla lettera Z che precede il numero di matricola tatuato sul braccio. Nei diversi campi di sterminio, 500mila rom e sinti europei termineranno la loro esistenza a fianco di ebrei, omosessuali, dissidenti politici, disabili.

Un destino comune unisce quindi ebrei e rom, che passa attraverso la testimonianza diretta di Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz: “Naturalmente la deportazione degli ebrei aveva una sua specificità perché, mentre gli altri potevano morire, gli ebrei dovevano morire. Questa era la differenza. Per gli ebrei esistevano le camere a gas, unicamente per loro. In un secondo momento, nell’estate del 1944, purtroppo anche per gli zingari fu decretata la stessa ‘soluzione finale’. Li hanno mandati a morire nelle camere a gas. Ebrei e zingari morivano per gas”.

Domenica 3 febbraio, all’interno della settimana della Memoria, si assisterà a Roma a uno straordinario gesto simbolico. Ebrei e rom, insieme, compiranno una passeggiata urbana silenziosa nel cuore della Capitale, dal ghetto ebraico a Piazza degli Zingari, per abbracciare una Memoria comune che, malgrado l’amnesia di storici e legislatori, è ancora viva nel cuore e nei ricordi delle due comunità. Musica tzigana e canti ebraici accompagneranno l’uscita dall’oblio di un comune destino dimenticato.

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