Televisione

Festival di Sanremo 2019, le 24 canzoni in gara in anteprima. Claudio Baglioni: “Ci sono dei testi poco sanremesi”

Motta, i The Zen Circus e i Negrita saliranno sul palco dell'Ariston con canzoni che (non) piaceranno ai nostri politici. Le sorprese arrivano dagli “insospettabili”, come Achille Lauro, Mahmood e Boomdaash. Enigmatico Ghemon, che sorprende sempre e non riesci mai a etichettarlo

di Giulio Pasqui

Milano, sede Rai di Corso Sempione. È il 18 gennaio e mancano (manco a farlo apposta) 18 giorni all’inizio del Festival di Sanremo, il secondo targato Baglioni.“Un’élite” composta da un centinaio di giornalisti ha il privilegio di ascoltare in anteprima i ventiquattro brani in gara. Baglioni precisa: “Anche io finalmente potrò farmi un’idea dei brani che abbiamo scelto”. Perché, non li ha già ascoltati? Forse no, dato che scoprirà insieme ai colleghi che Daniele Silvestri non si esibisce da solo ma in coppia con il rapper Rancore.

Si parte con Nek, si finisce con Il Volo, con pausa tartine a metà. Tutti scambiano opinioni e sentenze, come se fosse facile giudicare un brano al primo ascolto (la storia insegna che ce ne vogliono almeno un paio per capirci qualcosa). Noi usciamo dagli ascolti con la testa in fiamme e solo tanta confusione. Qualche certezza, però, ce l’abbiamo anche noi. Motta, i The Zen Circus e i Negrita saliranno sul palco dell’Ariston con canzoni che (non) piaceranno ai nostri politici. Il primo canta di un qualcosa “a due passi dal mare”, che arriva con l’aria stravolta di chi non si ricorda neanche più cos’è l’amore, fino a chiedersi – come dice il titolo – “Dov’è l’Italia?”. La canzone, dirà Baglioni, è stata scritta a Lampedusa. I The Zen Circus cantano la paura del diverso: citano “porte aperti e porti chiusi”, citano l’anarchia, raccontano degli sguardi “attoniti” che ricevono due uomini che si baciano. Quasi una filastrocca che parte con il suono del carillon e un orologio che detta il tempo che passa. Il brano dei Negrita, invece, racconta di un uomo che – con una chitarra in mano – vuole fare pace con il mondo “dei confini e dei passaporti”. Anche qui si parla di barche senza porto e, qui il riferimento è abbastanza palese, “come vuole un comandante a cui conviene il gioco sporco”.

“Ci sono dei testi poco sanremesi”, dice Baglioni. Le sorprese arrivano dagli “insospettabili”. La canzone di Achille Lauro – che porterà un po’ di sano rock (sì, un trapper porterà il rock a Sanremo) – rompe tutti gli standard sanremesi: alle signore in platea cadrà la mascella. Cita i grandi come Marilyn, i Doors, Elvis, Axel Roses, Billie Joe, Amy, ma poi chiede a Dio di salvarci da questi giorni e si chiede: “Di noi che ne sarà?”. Poco sanremese anche Mahmood, un’altra bella sorpresa: lui parla a un padre che se n’è andato, a cui urla “dimmi se ti manco o te ne fotti”. Cita anche alcune parole arabe come “habibi”, d’altronde la canzone ha richiami “arabeggianti”. I Boomdaash si presentano con un coro di bambini per il ritornello, ma funzionerà tanto in radio (fosse inizio estate, avremmo già il tormentone tra le mani).

“Alcuni testi hanno tantissime parole e addirittura neanche il ritornello”. Daniele Silvestri e Rancore propongono un testo smisurato: racconta di un 16enne in prigione senza aver commesso alcun reato, con lo scorrere del testo si scoprirà che la prigione è il mondo del web, che lo costringe a rimanere seduto – immobile e muto – per ore. Simone Cristicchi ricorda per certi versi l’interpretazione-recitata di Signor Tenente (sì, è un paragone azzardato): il testo invece non c’entra niente con Faletti, qui c’è un’esaltazione della vita (che “è un miracolo”), del vivere come se fosse l’ultimo giorno, del senso delle cose che ci circondano e dell’amore. Anche Enrico Nigiotti punta a far commuovere con una dedica struggente e nostalgica dedicata al nonno scomparso. Parla di “una generazione con nuovi discorsi” e di una rete (il web?) “che non prende pesci, ma prende noi”.

Ma, ovviamente, c’è anche tanto di sanremese. Come la canzone di Einar, che si tormenta di un amore che sta per finire. Anna Tatangelo e Francesco Renga non propongono niente di diverso da quello che ci si aspetta da loro: Anna parla di un amore ritrovato (quello con Gigi D’Alessio?), mentre Renga di un amore che lenisce il dolore della perdita della mamma “che mi manca da trent’anni”. C’è amore anche nella canzone de Il Volo (vogliono vincere e arrivano con una canzone “gigiona”): “Siamo il sole in un giorno di pioggia” potrebbe essere una frase da bacio perugina. Shade e Federica Carta, che ricalcano perfettamente lo schema che ha portato al successo il loro precedente brano, cantano di un amore tormentato. Ultimo fa Ultimo: convince e regala una canzone struggente, che farà piangere.

Dall’indie con furore, anche gli Ex Otago parlano di amore, strizzando l’occhio ai TheGiornalisti: dicono che “non è semplice” restare complici, scoprire nuove tenebre e restare insieme. Anche Paola Turci fa una dedica d’amore: dice che, nonostante tutto, è bello cadere insieme a qualcuno e superare insieme gli ostacoli. Irama convince con una ballata (anche lui fa uso del carillon) che parla di Linda, una ragazza fragile e con il cuore di latta, che nonostante le sofferenze della vita e un padre violento rimane incinta.

La stranezza arriva da una sorprendente Arisa. Il brano parte con eleganza, con l’uso degli archi, ma alla seconda strofa inizia proprio un’altra canzone e un’altra atmosfera: allegra, strampalata, quasi da cartone animato, che la riporta ai tempi di Sincerità e L’Amore No. Lei canta di quanto sta bene se non pensa al tempo lasciato alle spalle. Nek farà muovere il piede per tenere il tempo con una ballata molto elettronica (e radiofonica). Grande tema è l’autotune, che arriverà sul palco del Festival con Livio Cori e Nino D’Angelo. La loro non è la classica canzone neomelodica che ci si aspetta, il loro incontro generazionale rende il tutto contemporaneo (e Livio Cori, che è Liberato?, fa uso massicciamente uso di autotune). Ne faranno uso anche Achille Lauro e Mahmood.

Enigmatico Ghemon, che sorprende sempre e non riesci mai a etichettarlo: fa uno stile tutto suo e ogni volta cambia le carte in tavola, come stavolta. Loredana Bertè propone una ballata martellante, che canta a tutta voce. “Non posso credere che esista un altro amore come te”, canta. Ha bisogno di più ascolti la miscela composta da Patty Pravo e Briga, con quest’ultimo ormai più cantautore che rapper. In sostanza: non c’è la perla che rimane impressa su cui possiamo già puntare, ma neanche la canzone brutta da distruggere a priori. Ci rileggiamo al prossimo ascolto, durante la prima serata di Sanremo.

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