Qualcosa non funzionava in quelle classifiche e in breve la bugia è stata svelata dai fatti. Non sarà sfuggito a nessuno infatti che nel giro di pochi giorni la città di Milano è passata direttamente dalla gloria dei vertici della classifica delle città più vivibili d’Italia a cura del Sole 24Ore, al fango e al sangue di Inter-Napoli, record di violenza urbana che riaffiora e viene rimbalzata su tutti i giornali e le televisioni. Poche volte avevamo visto una smentita così clamorosa. Tutto perché – lo sanno anche i bambini – un conto sono alcuni dati aggregati, un’altra le conclusioni su questioni complesse e capitali.

Come si fa a pensare di poter formulare un giudizio – con un minimo di razionalità – sulla “qualità della vita” degli italiani sulla base del reddito procapite, dei metriquadri di giardinetti, dei libri, dei cinema o di altre amenità disponibili? Ci volevano dei teppisti per ricordarci che la qualità della vita è una cosa più complessa di una sfilata di moda e si misura soprattutto dallo stato d’animo e dalle reali condizioni materiali di vita della popolazione? Insomma, dobbiamo più seriamente riproporci il problema della reale qualità di vita nelle nostre città, che non è solo funzione della disponibilità di beni materiali e di ricchezza. E che purtroppo è molto basso, in particolare in rapporto agli standard europei e nord europei

Non è che ci volesse molto a capire che la situazione a Milano non è quella del Paradiso terrestre italiano. Milano era la città meno ideologica e più pratica, perché refrattaria totalmente alle ideologie astratte e preconcette. Il bene per il bene, il lavoro per il lavoro. Milano era la città più etica d’Italia, quella dove non c’era bisogno di essere cattolici per amare il prossimo. Questo era il fattore più importante di benessere. Oggi dispiace dirlo, tira invece tutt’altra aria, quella di una malsana aggressività, di tensioni represse pronte a esplodere alla prima occasione. Lo stesso sole 24 Ore, d’altronde, aveva messo Milano in cima alle classifiche sulla criminalità. Altro che regina in qualità della vita. Basta girare per le strade in macchina, coi mezzi pubblici o con le biciclette, parlare con la gente.

Milano è una città divenuta negli anni comparativamente più povera, perché la ricchezza individuale non è più un fattore di progresso e di benessere per tutti, ma si è trasformata in un volgare mezzo di separazione e di contrasti. Milano è una città impropriamente costosa, che offre meno di quello che fa pagare, gonfiata dalle tensioni di una piccola e media borghesia locale proiettata non a fare meglio, ma a fare come (i “ricchi”). Man mano che ci si sposta nelle periferie, mentre le differenze sociali si riducono, aumentano le tensioni, nei condomini, nelle strade, nei bar. D’altronde l’industria prima fonte di ricchezza è stata soppiantata dalla finanza, meglio dal poco che resta di una finanza gonfiata e priva di rendite certe e continue quali erano i profitti industriali dell’epoca d’oro. Il guadagno privo del lavoro e del sacrificio è socialmente distruttivo. Milano, una volta città del bene fatto in silenzio, è oggi la città del marketing, dove tutto vien urlato, soprattutto quello che non c’è. Alcuni hanno detto, “Milano, sotto il vestito niente”.

A scanso di equivoci, chiarisco subito che amo profondamente Milano, e per parte di madre vengo da via Santa Valeria. Non so se sono milanese, ma amo Milano. Ho vissuto a Milano anni bellissimi e continuo a frequentarla. Amo Milano perché è l’unica città italiana europea. Amo Milano perché, in confronto a Verona (dove vivo) e alla maggior parte delle belle città italiane, è brutta e per sedurti evidentemente deve usare altri armi, non solo quelle del sentimento. Amo Milano perché è (o almeno era) una città inclusiva, dove qui più che altrove si guarda solo a quello che uno è capace di fare. Amo Milano perché è una città modesta dove chi più aveva meno ostentava. Amo Milano perché i milanesi non volevano essere simpatici, erano finti burberi che con grande pudore lavoravano e si sacrificavano senza fiatare e pensavano agli altri.

Milano oggi è un’altra cosa, anche se i Biscella di Porta Ticinese sono aumentati e le Gagarelle del Biffi Scala sono più numerose di un tempo. Da tempo la Milano laica è morta sotto le botte della politica corrotta e dei daneè senza lavoro e sacrificio. Quella cattolica si è adeguata, così dalla comunione e dalla liberazione si è passati alle compagnie per le “opere”. Milano ci ha perfino provato a sconfiggere la corruzione, ma alla fine anche tra i milanesi è prevalso il modello Berlusconi.

La storia di Milano almeno per gli ultimi 30 anni è, in grande, la storia tragica del nostro Paese. La lotta di pochi, sempre meno per fermare un declino che nel breve faceva comodo a molti ma che avrebbe inevitabilmente comportato un peggioramento complessivo delle condizioni di vita per tutti. Quelle che il Sole 24Ore non poteva vedere. Non basta ripulire un po’ di strade in centro, non bastano i grattacieli addobbati di verde, non bastano i navigli, né serve la vetrina a tutti i costi dell’Expo. Purtroppo, non bastano nemmeno gli Strada, i Pellegrini, le Buccoliero, le Carimali e tutti quelli che ancora con grande fatica oggi si sforzano in altro modo di tenere alto il nome di Milano. Ma Milano ce la farà, senza l’aiuto di classifiche finte. Perché se non ce la fa Milano non ce la farà mai il resto del Paese.

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