di Carblogger

Il rilancio dell’Alfa Romeo non va. “È un mondo dove ogni giorno e ogni nuova sfida porta con sé l’occasione di creare un futuro migliore”, diceva tra le altre cose Sergio Marchionne nel 2014 a Detroit annunciando il nuovo piano quinquennale di Fiat Chrysler. Con dentro otto nuovi modelli Alfa Romeo entro la fine del 2018.

Siamo alla fine del 2018 e i modelli nuovi sono stati solo due, Giulia e Stelvio. Un terzo, un piccolo suv per il segmento di mercato più caldo che ci sia, è stato annunciato poche settimane fa per la fabbrica di Pomigliano. Forse vedremo un prototipo al prossimo salone di Ginevra in marzo, sicuramente non sarà commercializzato prima del 2020. Altre tre modelli Alfa sono nel piano industriale, ma soltanto entro il 2022. Oggi siamo a Giulia e Stelvio, due modelli con prezzi a partire da ben oltre 40mila euro, più l’ormai vecchia Giulietta costruita a Cassino dal 2010. Una fabbrica per tre, chiusa però per ben tre settimane dal 19 dicembre.

Come si fa rilanciare così Alfa Romeo, per di più con l’ambizione dichiarata da marchio premium? In Europa (Paesi Ue), Alfa Romeo ha chiuso novembre con -48,6% di vendite, ottobre con -43,6%, settembre con -60,5%. In undici mesi sono state vendute poco più di 75mila Alfa in Europa; contro le oltre 658mila dei presunti concorrenti di Audi, le oltre 717mila di Bmw, le oltre 772mila di Mercedes. Per rilanciare Alfa Romeo nell’olimpo dei marchi premium ci vogliono soldi, tanti soldi. Ce li ha Fiat Chrysler? Vendendo Magneti Marelli, sono stati incassati sei miliardi di euro. L’azionista se ne è presi due in dividendi straordinari.

Salvate l’Alfa Romeo. Oppure vendetela finché ha un valore, e credo ce l’abbia, oltre quello del cuore. Naturalmente niente a che vedere con Jeep e Ram, le sole galline dalle uova d’oro del gruppo che qualcuno si comprerebbe subito.”Vendere l’Alfa Romeo, un meretricio”, disse Giuseppe Luraghi della trattativa di cessione alla Ford negli anni 80, un dirigente dalla schiena dritta che precedentemente aveva fatto molto bene all’Alfa inventando per altro la Giulietta. Poi il marchio finì alla Fiat, “ci siamo annessi una provincia debole”, sentenziò Gianni Agnelli. Salvate l’Alfa Romeo. O vendetela.

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