Matteo Salvini dà l’ultimatum, Luigi Di Maio ribadisce “lealtà” e intanto alla Camera arrivano circa 600 richieste di modifica (di cui 5 dei grillini, 140 di Forza Italia e 80 di Leu). Il decreto Sicurezza agita di nuovo la maggioranza: dopo il via libera del Senato tra i malumori dei 5 stelle, ora è il turno di Montecitorio. Il provvedimento è all’analisi della commissione Affari costituzionali in questi giorni, ma non c’è il tempo tecnico di fare modifiche senza rischiare che decada (perché dovrebbe ritornare a Palazzo Madama se cambiato). Anche per questo oggi il leader del Carroccio ha ribadito: “Il Decreto Sicurezza serve al Paese e passerà entro il 3 dicembre o salta tutto e mi rifiuto di pensare che qualcuno voglia tornare indietro”, ha commentato a margine di un evento al Viminale. Salvo poi precisare che intendeva “salta il decreto” e non l’esecutivo. La rassicurazione comunque è arrivata direttamente dal capo politico del M5s, socio di governo della Lega: il M5s, ha detto Luigi Di Maio, sarà “leale” sul decreto sicurezza. “Come capo politico del Movimento – ha detto a Radio Anch’io – devo assicurare la lealtà del Movimento a questo Governo. Il decreto si deve approvare. E’ una questione di correttezza. Non ci si può rimangiare la parola”. Anche perché gli scossoni al governo ormai sono uno al giorno, l’ultimo sugli inceneritori chiuso (forse) ieri. Per Di Maio, dunque, “il decreto sicurezza va avanti, se adesso noi lo modificassimo significherebbe farlo decadere, dato che scadrebbe e non ci sarebbero i tempi per mandarlo al Senato”. Anzi della lettera dei 19 del suo partito che solo ieri hanno chiesto modifiche il capo M5s ha detto di aver capito “che gli emendamenti sono più che altro un’azione ‘di testimonianza’ che non la volontà di modificare e far cadere il decreto, dato che chi nella lettera c’è scritto che si capisce l’importanza del provvedimento in ottica di governo. Io devo devo assicurare la lealtà del M5s al governo. Noi quel provvedimento lo abbiamo votato in Cdm, quindi deve essere approvato”. Tra le ipotesi più probabili c’è quella che sia posta la fiducia per evitare di correre rischi. Ma sull’eventualità il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha preso tempo dicendo che sarà messa “solo se necessario, ma al momento non è all’ordine del giorno”. “Valuteremo”, ha detto Conte, sottolineando che “è un decreto legge in fase avanzata del suo iter legislativo, è il momento di operare una sintesi. Sono stati modificati alcuni passaggi, è il momento della decisione finale”.

Il riferimento dei due vicepresidenti del Consiglio è al gruppo di 19 deputati del Movimento Cinque Stelle che ha chiesto modifiche al testo arrivato dal Senato (con conseguenti malumori di alcuni come Elena Fattori, Paola Nugnes e Gregorio De Falco). Oggi ai 19 deputati di prima elezione che hanno scritto al capogruppo a Montecitorio Francesco D’Uva chiedendo modifiche al decreto si è aggiunto anche Giuseppe Brescia, voce autorevole dei Cinquestelle, al secondo mandato, presidente della commissione Affari costituzionali e ritenuto vicino al presidente della Camera Roberto Fico. “Fino alla fine spero che cambi. Ma sono realista” dice in un’intervista al Corriere della Sera. In particolare Brescia ha criticato due articoli: l’articolo 1, che – dice – “esclude dal diritto di soggiorno chi, tornando nel suo Paese, potrebbe essere vittima di trattamenti disumani e degradanti”. E l’articolo 12 “perché esclude la possibilità di accesso alla rete Sprar dei richiedenti asilo. Cosa che potrebbe andare bene solo gli arrivi non aumentassero e soprattutto ci fossero più rimpatri. Cosa difficile, visto che servono accordi bilaterali. Questo significa che crescerà a dismisura il problema degli irregolari che restano sul territorio, portando molti problemi nei nostri Comuni”. Quindi alla domanda del come, alla luce di queste critiche, si faccia a votarli: “Sa bene che non governiamo da soli”.

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