In questi ultimi giorni la questione dell’omogenitorialità è tornata nel dibattito pubblico con una certa “prepotenza”. Non perché ha occupato media e prime pagine, ma perché è stato trattato con la solita arroganza e malafede. Alludo a due fatti, nello specifico. In primis, a Milano la maggioranza consiliare si è spaccata sul riconoscimento dei bambini arcobaleno con due padri. Beppe Sala ha già riconosciuto quelli con due mamme, ma ha problemi di tenuta politica nel caso in cui i genitori siano gay. “Le persone in privato possono fare ciò che vogliono, ma non possono comprare bambini, affittare uteri e dichiararsi madri e padri di figli non loro”, ha dichiarato il consigliere Enrico Marcora – la cui lista sostiene il sindaco – durante una seduta. Altri consiglieri di maggioranza e opposizione – tra cui Luigi Amicone, ex direttore di Tempi e fiero nemico dei diritti Lgbt – hanno quindi previsto un’audizione in cui sono state invitate a parlare solo realtà contrarie alla Gpa: tra queste, ArciLesbica.

Nel frattempo, il cantante Marco Cartafresco di coming out – è stato intervistato sul suo desiderio di diventare padre, prendendo le distanze dalla surrogacy da lui definita come inumana. E tacerò sull’usanza, temo tutta nostrana, per cui il dir di sé trasforma anche la più irriducibile delle “velate” (nel gergo gay, chi nasconde il proprio orientamento sessuale) in un esperto navigato in questioni Lgbt. Anche quando tutto suggerisce che su certi temi, prima di avere un’opinione, bisognerebbe averne quantomeno contezza.

Non mi interessa porre il piano della discussione sull’avallo, o meno, alla pratica in sé. So che la genitorialità è un nervo scoperto e penso che occorra un confronto serio ed equilibrato. A tal fine, usare certi termini non aiuta. Il problema, a parer mio, è (anche) di natura linguistica. Si può essere pro o contro una pratica, ma usare esiti quali “comprare i bambini” e “utero in affitto” non aiuta a costruire un confronto sereno e intellettualmente onesto. Vediamo perché.

La dicitura “utero in affitto” è offensiva nei confronti di donne che decidono liberamente di offrire i loro organi riproduttivi per permettere ai bambini arcobaleno, ma anche ai figli delle coppie sterili, di venire al mondo. Descrivere una libera scelta come mercimonio non fa che rendere “merce” quelle donne stesse. Certe decisioni possono non convincere, ma rimangono (fino a prova contraria) fatte in libertà. Ed essa va rispettata. “Utero in affitto” è offensivo, peraltro, per quelle donne che invece sono gestanti per necessità e quindi non libere di scegliere. In situazioni coercitive, tal esito è ancora più odioso perché le riduce a meri oggetti riproduttivi. E questa riduzione è tutta interna a specifici settori del movimento Lgbt e del femminismo. Ed è doppiamente grave, se svolta anche in chiave antigay.

Poi c’è la questione dei bambini. Definirli come “figli comprati” è un vero e proprio insulto. Nessuno va nei supermercati di neonati ad acquistare infanti, strappandoli dalle mani delle legittime madri. La prole delle famiglie arcobaleno nasce, in primo luogo, nelle intenzioni di due genitori – maschi o femmine – che fanno una scelta ponderata. Nel caso dei padri maschi, questa scelta necessita dell’alleanza con una donna per mettere al mondo un bambino. Ridurre tutto questo a uno scontrino riduce, ancora una volta, quei bambini a merce.

La questione linguistica diviene, inevitabilmente, questione politica. La narrazione mercificante ha come fine, infatti, gettare fango e discredito sulle libere scelte degli individui. Come effetto finale, l’impossibilità di divenire genitori avvelena, infatti, la discussione sull’omogenitorialità in generale, in quanto si descrivono i maschi gay come sfruttatori di donne e compratori di infanti. Ridurre la Gpa, infine, a pratica utilizzata solo dai gay – il 70% di chi vi fa ricorso sono coppie eterosessuali sterili – inquina ulteriormente il dibattito. Ciò non rende di certo più facile il discorso sull’adozione, che pure va affrontato nell’agenda politica del nostro Paese.

In questa rappresentazione “deviata” i padri omosessuali rappresentano le vittime privilegiate, sia perché invisi al patriarcato – il ruolo “materno” svolto dal maschio scompagina millenni di narrazione maschile sulla cura domestica, riservata alle donne – sia perché spaventano quelle attiviste che riducono il femminismo a guerra tra generi, forse per questioni di sopravvivenza politica. Invece, un confronto serio su tale argomento dovrebbe partire proprio da una sua narrazione onesta e limpida. Il bivio è lì, insomma: rispettare gestanti, bambini e padri gay o ridursi a pensarla come Amicone e ArciLesbica.

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