Piergiorgio Welby era stato inchiodato al suo letto dalla distrofia muscolare, Giovanni Nuvoli era prigioniero della Sla, il sorriso di Eluana Englaro fu spento da un incidente stradale e a Dj Fabo ovvero Fabiano Antoniani non era rimasta altro che la sua lucidità dopo lo schianto in auto. Il diritto a morire in Italia è stato una sfida allo Stato e alla religione, una battaglia sfibrante delle persone e delle loro famiglie (su tutti Mina Welby e Beppino Englaro), contro il pregiudizio e la legge, che ha bisogno di un ultimo assalto per dirsi vinta. Sono stati dodici anni di appelli, invocazioni, inchieste, giudici, sentenze e così pesa e ha un valore più grande di altri il compito dei giudici della Corte costituzionale di decidere se la norma che punisce l’aiuto al suicidio rispetta la legge fondamentale dello Stato. Sono passati otto mesi e una manciata di giorni dall’invio da parte della Corte d’assise di Milano degli atti del processo in cui Marco Cappato è stato giudicato per aver accompagnato in Svizzera Dj Fabo e così salvarlo “da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore…” come aveva detto il 40enne diventato cieco e tetraplegico.

Attesa per la decisione della Consulta sull’articolo 580
La Consulta, se non dichiarerà inammissibile la questione, dovrà rispondere a domande che attengono alla libertà personale e al diritto alla salute. Sul piatto della bilancia della giustizia la norma sull’aiuto al suicidio che è al momento equiparata nella pena all’istigazione (da 5 a 12 anni). Dal rafforzamento al suicidio il tesoriere co-presidente dell’associazione Coscioni è stato assolto. Due le richieste: se sia punibile chi non istiga, ma aiuta al suicidio una persona che, trovandosi in una situazione estrema, abbia maturato ed esplicitato la convinzione di volersi togliere la vita; e se appunto sia proporzionata la pena che l’articolo 580 del codice penale prevede indistintamente per entrambe le condotte. I giudici esamineranno il caso martedì e per mercoledì massimo è attesa la decisione.

“Già riconosciuto il diritto a decidere di lasciarsi morire”
Nell’ordinanza i giudici di Milano avevano ricordato le sentenze sui casi Welby ed Englaro, le pronunce della Corte europea dei diritti dell’Uomo sul fine vita (una contro il Regno Unito e due contro la Svizzera, ndr), la legge sul Biotestamento, che hanno via via ritoccato il perimetro dei diritti in quest’ambito: “Nel caso di malattia, dunque il diritto a decidere di ‘lasciarsi morire’ – scrivevano a pagina 13 – è stato espressamente riconosciuto, a prescindere dalle motivazioni sottese a tale decisione, a tutti i soggetti capaci. Il fatto che non sia possibile sindacare le ragioni per cui una persona addiviene a questa scelta, è chiaro riconoscimento dei principi stabiliti dagli articoli 2 (sui diritti inviolabili, ndr) e 13 (sulla libertà personale, ndr) della Costituzione, in forza dei quali la libertà di ogni persona a disporre della propria vita non può essere limitata per fini eteronimi”. Si chiede di andare, quindi, oltre un confine il cui primo segno è stato tracciato nel 1930 con il codice Rocco.

E il pm disse: “Mi rifiuto di essere l’avvocato dell’accusa”
A difesa della legge si sono costituiti in giudizio il Centro Studi “Rosario Livatino”, formato da giuristi che si occupano di diritto alla vita, e le associazioni pro-life “Movimento per la vita” e “Vita è”, quest’ultima rappresentata da Simone Pillon, senatore della Lega e organizzatore del Family Day. Ma anche il governo – dopo quello Gentiloni lo ha fatto anche quello attuale – attraverso l’Avvocatura dello Stato, rappresentata in udienza da Gabriella Palmieri, che ha seguito moltissime cause legate a tematiche sui diritti della persona. In aula ci sarà anche Tiziana Siciliano, procuratore aggiunto di Milano, che aveva chiesto l’archiviazione del caso e dopo che il gip aveva ordinato il processo aveva invocato l’assoluzione con queste parole: “Noi pubblici ministeri rappresentiamo lo Stato, non siamo gli avvocati dell’accusa come in altri ordinamenti, pur civilissimi. Io mi rifiuto di essere l’avvocato dell’accusa. Io rappresento lo Stato e lo Stato è anche l’imputato Cappato”

L’Avvocatura dello Stato e il rischio dell’horror vacui
Dall’altra parte ci saranno Marco Cappato, esponente dei Radicali e dell’associazione “Luca Coscioni”, impegnata per la libertà di cura e ricerca, e i legali che lo rappresentano, tra cui Filomena Gallo, segretario dell’associazione e avvocato, consapevoli che sarà una lotta. A esporre la causa come relatore sarà il giudice costituzionale Franco Modugno, giurista entrato in Consulta su proposta dei Cinquestelle. L’Avvocatura dello Stato farà leva non solo su aspetti tecnici, come quello che in materia penale c’è una riserva di legge affidata al Parlamento, ma sul fatto che se l’articolo 580 fosse dichiarato illegittimo, si produrrebbe un vuoto normativo: “Un horror vacui”. L’aiuto al suicidio non sarebbe più reato e soggetti vulnerabili si troverebbero esposti senza tutela.

Cappato e Welby processo per il caso di Davide Trentini
Cappato, insieme a Mina Welby, è sotto processo anche a Massa per il caso di Davide Trentini, malato di sclerosi multipla dal 1993, accompagnato in Svizzera e morto il 13 aprile 2017: “Basta dolore. La cosa principale è il dolore, bisogna focalizzarsi sulla parola dolore. Tutto il resto è in più” diceva. Il processo è stato aperto e rinviato in attesa della decisione della Consulta. “Noi attendiamo con grande rispetto l’udienza e la decisione che verrà presa. È una occasione per fare chiarezza sui diritti dei cittadini italiani. Abbiamo depositato cinque anni fa la proposta di legge per rendere legale l’eutanasia ma il Parlamento, sia quello del passato Governo che l’attuale, continua a non discutere questo tema, in violazione della Costituzione. Non pretendiamo di avere ragione ma che ci sia un dibattito in Parlamento. Ci appelliamo alla coscienza di ogni parlamentare“. E per chi non l’avesse ci sono le parole della Costituzione nell’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana“.

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