Cinema

Il Verdetto, un giudice e un ragazzo malato. Lo scontro tra scienza e religione diventa un film vibrante

The children act è tratto dal tredicesimo titolo di Ian McEwan che qui si prodiga nella realizzazione di una sceneggiatura asciutta, e senza sbrodolature da io narrante, che a memoria di chi scrive risulta molto meglio del claudicante romanzo. Standing ovation per Emma Thompson, suprema e inarrivabile

di Davide Turrini

Niente sesso, siamo inglesi. L’incipit lo rubiamo alla rivista Sight and Sound. Anche se in The Children Act – Il verdetto non c’è traccia di umorismo, bensì di sentimenti strazianti e vive pulsioni dell’anima ricoperti da un sottile strato di frenante formalità culturale da alta società britannica. Il matrimonio della 59enne giudice Fiona Maye (Emma Thompson, inarrivabile e suprema) va a rotoli, e nella corte del tribunale da lei presieduto deve contemporaneamente decidere sul caso di Adam Henry, un diciassettenne figlio di Testimoni di Geova, che per principi religiosi rifiuta le trasfusioni di sangue che gli salverebbero la vita.

L’incontro con il minorenne Adam sul letto d’ospedale, inusuale per il protocollo e i codici della giustizia, avrà conseguenze decisive sul verdetto che la donna emetterà, come sul rapporto in frantumi con suo marito (Stanley Tucci), ma soprattutto sul rinnovato slancio vitale del ragazzo morente (Fionn Whitehead). Affidato nelle delicate e composte mani di un regista british drama come Richard Eyre (Iris, Diario di uno scandalo), The children act rimane chiaramente una riflessione attorno al basculante crinale dell’etica pubblica di fronte allo scontro tra religione e scienza; ma assume un ulteriore spessore drammatico, anzi attorno al minuto cinquanta diventa un altro film, ancora più compatto e vibrante, concentrando la voluminosità dell’intensità drammaturgica nella classica crisi sentimentale che travolge i protagonisti dei romanzi di Ian McEwan.

Già, perché The children act è tratto dal  tredicesimo titolo dello scrittore inglese che qui si prodiga nella realizzazione di una sceneggiatura asciutta, e senza sbrodolature da io narrante, che a memoria di chi scrive risulta molto meglio del claudicante romanzo. Dicevamo della compostezza del tratto fine ed essenziale di Eyre, ma la standing ovation è tutta per la Thompson. Racchiusa in un ruolo sociale rigido e imparruccato, ma comunque conquistato alla pari degli altri uomini, Fiona è il nucleo pulsante del film. La coriacea corazza che nemmeno il marito con scappatella annunciata riesce a scalfire, viene tagliata come burro dalle ovvie velleità di un adolescente (un Whitehead un tantino anagraficamente fuori parte, ma ci sta). Dopo che Fiona ha diretto narrativamente il traffico, come un vero giudice per tutto il tempo del racconto, la sua performance finale con trasformazione di voce, corpo e azione è qualcosa di cinematograficamente e poeticamente memorabile. La trasposizione di McEwan è un tantino superiore al “suo” Enduring Love di Roger Michell (2004) e un millimetro inferiore all’Espiazione di Joe Wright (2007). Per una volta la traduzione del titolo del romanzo originale in italiano fatta dell’editore Einaudi, La ballata di Adam Henry, risulta più contenutisticamente più attinente del pur razionalista The children act- Il Verdetto.

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