Benvenuta nota del Def! Proprio nella Giornata mondiale degli insegnanti, promossa dall’Unesco che li definisce “soggetti chiave” il cui impegno è “fondamentale per fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva e opportunità di apprendimento per tutti”, con l’obiettivo di “migliorare la vita delle persone”. Cambia il soggetto, ma le aspirazioni sono le stesse del reddito di cittadinanza.

Chi ha letto L’amica geniale di Elena Ferrante o è riuscito ad andare al cinema per l’anteprima delle prime due magistrali puntate della serie che verrà trasmessa in Rai, avrà capito infatti l’importanza dell’istruzione e della figura degli insegnanti come mezzo di riscatto, di ascesa sociale e raggiungimento di parità di dignità e di genere (ma la si può comprendere anche senza aver fatto queste esperienze letterarie). Nei Paesi più avanzati l’istruzione è al centro dello sviluppo e della crescita. È ciò da cui tutto parte, anche solo per tirare su cittadini in grado di comprendere bene perché i vaccini siano importanti o di capire perché sia importante che tutti paghino le tasse.

Tanto che i governi passati, pur compiendo grandi scempi come la Buona Scuola, non hanno mai tralasciato occasione di fare della scuola oggetto di propaganda. Un boomerang, certo: l’esercito dei circa 600mila docenti italiani ha sempre capito chi aveva di fronte e ha fatto valere i propri diritti alle urne o in tribunale. Le contraddizioni di anni di riforme sbagliate e in collisione si sono tradotte in fiumi di ricorsi, sacche di scontento ed eserciti di ricorrenti pronti a darsi battaglia tra loro per punti e posti in graduatoria di precedenza. Oppure nel potente contributo alla disfatta del 4 marzo.

E cosa fa allora il governo giallo-verde? Furbescamente si muove silente: nessuna riforma con la propria firma, piccoli rosicchiamenti alla Buona Scuola (come l’abolizione della chiamata diretta ma solo il ridimensionamento dell’alternanza scuola-lavoro) e nessun annuncio. Purtroppo, va notato, per il momento neanche di nuovi fondi. Tutto ciò che si legge nella nota al Def ha un sapore di orientamento, poco di definito: “Sviluppare percorsi di cittadinanza attiva fin dal primo ciclo di istruzione”, “migliorare la formazione iniziale dei docenti di sostegno”, “limitare l’abbandono scolastico”, “revisionare il sistema di reclutamento”, “affrontare il problema dei trasferimenti”, “valorizzare il ruolo del personale amministrativo tecnico e ausiliario”, “rivedere l’esame di Stato” e l’obbligo dell’Invalsi e dell’Alternanza, “concorsi per reclutare i Direttori dei Servizi Generali e amministrativi”, velocizzazione di quello per i presidi.

Gli unici soldi di cui si parla sono circa 23 milioni per l’ampliamento dei percorsi formativi degli Istituti tecnici superiori (Its) per il 2018/2019. “Gli Its – si legge – sono una realtà su cui il Governo intende puntare in maniera decisa, avendo dimostrato chiaramente la loro efficacia nell’assicurare uno sbocco lavorativo ai propri diplomati”. Cosa mancano? I soldi. La retribuzione, gli aumenti che i docenti italiani – ormai soddisfatti dell’infornata di cattedre degli ultimi anni e continuamente tacciati di “poco lavoro e tante ferie” – intendono rivendicare. È la loro prossima battaglia e questo governo farebbe bene a ricordarsene per non rimanere scottato come i precedenti.

Lo ha sottolineato la Flc Cgil proprio facendo riferimento al rapporto Education at a glance dell’Ocse. Il divario tra l’Italia e tutti i Paesi maggiormente sviluppati aumenta. “Secondo il rapporto, gli stipendi degli insegnanti italiani sono ancora molto al di sotto della media dei colleghi, sia dei Paesi Ocse, che dell’Unione europea, tanto per i livelli iniziali che nel corso della carriera”.

Un insegnante di scuola media italiano appena assunto percepisce 30.739 dollari (i salari sono rapportati in dollari a parità di potere d’acquisto) mentre a livello europeo la media è di 33.041 dollari. Al massimo della carriera, la retribuzione media è di 46.030 dollari mentre a livello europeo gli insegnanti percepiscono mediamente 56.006, ovvero il 21% in più, senza considerare che per raggiungere il massimo della carriera in Europa occorre molto meno dei 35 anni necessari ai docenti italiani.

“Il contratto Istruzione e Ricerca firmato pochi mesi fa per il triennio 2016-2018 è già scaduto – dice la Flc Cgil – e ora occorre rinnovarlo per il triennio 2019-2021. A tal fine è necessario che la legge di bilancio per il 2019, che sta per essere varata dal governo, contenga le risorse necessarie”. Anche perché, non sono neanche previste le risorse per garantire il potere d’acquisto delle retribuzioni rispetto all’inflazione per il triennio 2019-2021. “Anzi, – concludono i sindacati – nel Def è scritto chiaramente che i redditi da lavoro dipendente della pubblica amministrazione si ridurranno dello 0,4% in media nel biennio 2020-2021”. Si preannuncia un autunno molto caldo.

Articolo Precedente

Lampedusa, il silenzio del Miur. Non sia mai che ricordare una tragedia possa far capire il mondo ai ragazzi

next