I festoni, la torta con le candeline, gli inviti fatti arrivare per tempo e l’emozione negli occhi del tuo bambino che aspetta gli amici. Poi la delusione, perché tutto ciò che hai pensato e organizzato per quel giorno crolla come un castello di sabbia sotto il peso dell’indifferenza. Ed è l’ennesima batosta, dopo porte in faccia, discriminazioni e diritti negati. C’è tutto questo dietro la vicenda della festa per il quarto compleanno di un bambino affetto da autismo a Cavezzo, provincia di Modena, alla quale ha partecipato solo un invitato su 18. Perché la delusione nel constatare il totale disinteresse attorno a sé non è l’unica prova che la famiglia del piccolo, così come tante altre, ha dovuto e deve affrontare ogni giorno. Ecco perché la mamma del bambino, la signora Maria Giovanna Carlini ha deciso di non subire in silenzio e di accendere i riflettori anche sulle cure per l’autismo e, in modo particolare, sulle costose terapie Aba (Analisi Applicata del Comportamento).

A raccontare a ilfattoquotidiano.it come funziona anzi, non funziona, il sistema del rimborsi è Noemi Cornacchia, presidente di Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici) per l’Emilia Romagna. “Il problema – spiega – è che, a parte rare eccezioni, in quasi tutto il Paese non esiste un sistema che garantisca un sostegno economico nonostante, secondo le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità del 2011, gli approcci di tipo cognitivo-comportamentale, e quindi anche le terapie Aba, siano i più efficaci”.

Lasciato solo alla festa di compleanno – Ma facciamo un passo indietro. La vicenda della festa di compleanno del bambino è stata raccontata sui social dalla mamma in uno sfogo pieno di amarezza. “Ho invitato 18 bambini con le rispettive famiglie – ha raccontato – solo in cinque hanno risposto, quattro declinando e una sola per confermare la partecipazione”. Agli invitati la donna aveva chiesto non regali, ma una donazione per un’associazione che lei stessa ha contribuito a fondare e che si occupa di bambini con autismo. La festa è stata disertata e la mamma ha deciso di raccontare l’accaduto sui social. “Non si possono vivere queste cose a quattro anni. Spero che le persone capiscano come ci sentiamo ogni giorno”, ha scritto. Tra le tante manifestazioni di solidarietà l’invito al Kids Festival di Milano dove per il piccolo è stata organizzata una festa di compleanno speciale, con torta, regali e decine di altri bambini. Poi la telefonata dal ministero della Famiglia. “Ci ha contattati un portavoce del ministro Fontana – ha dichiarato la donna – esprimendo solidarietà per quanto accaduto e sottolineando che cose del genere non dovrebbero succedere. Il ministro stesso è a conoscenza della vicenda e ci ha invitati a comunicare novità sul caso qualora ce ne fossero”. Anche il vicepremier Matteo Salvini ha scritto: “Voglio abbracciare questa mamma e questo bambino”. La risposta di Maria Giovanna? “Ti abbracciamo volentieri, ma sistemiamo anche i nostri diritti e garantiamo le terapie ai nostri bambini!”.

La petizione – Già, perché ciò che preme a questa mamma è che qualcosa cambi. “Se questo clamore può essere utile a non far vivere ad altri genitori il nostro dramma – ha scritto sulla pagina Facebook dell’associazione – sono ben felice di essere da portavoce a tutte le mamme e famiglie che non hanno il coraggio di denunciare quanto accade ogni giorno”. Ma cosa sono le terapie Aba? Si tratta dell’analisi applicata del comportamento: tecniche, più efficaci quanto prima si interviene, per abituare il bambino a non avere determinati comportamenti e accettare di acquisire delle autonomie. Maria Giovanna ha già lanciato una petizione su change.org per renderle gratuite, raccogliendo oltre 21mila firme. “Se si comincia la terapia entro i 4 anni di età, i successi di autonomia sono maggiori” e, scrive la donna nel testo della petizione “per avere dei veri risultati si dovrebbe garantire la terapia per 40 ore settimanali, ma i costi si aggirerebbero intorno ai 20mila euro all’anno. Attualmente la regione Emilia Romagna non riconosce questa pratica – spiega – e per questo dobbiamo ricorrere ai privati”.

Nessun sostegno economico – “Siamo molti indietro rispetto ad altre realtà – spiega a ilfattoquotidiano.it Noemi Cornacchia, presidente di Angsa Emilia Romagna – anche perché non si fa una formazione adeguata, ad esempio, nelle università dove l’autismo non viene studiano nelle sue peculiarità ma, nella stragrande maggioranza dei casi, in modo superficiale”. Le conseguenze? “Che nelle Asl, ad oggi, gli operatori dovrebbero riformulare la loro preparazione perché nelle neuropsichiatrie pubbliche abbiamo équipe non preparate per operare in questo campo specifico. In autismo occorrono tecniche particolari. Basti pensare che anche chi riesce a parlare, può non essere in grado di comunicare”. Le cose non vanno meglio sotto il profilo del sostegno economico da parte dello Stato. Pochissimi centri in Italia erogano servizi, gratuiti solo per un certo periodo, come accade nelle Marche, alcune Regioni hanno assegnato dei contributi, come è avvenuto in Veneto all’inizio dell’anno. Anche in Toscana sono attivi dei servizi.

“In Emilia Romagna – spiega Noemi Cornacchia – non viene erogata una somma dal pubblico, anche se esiste il progetto ‘Pria’ che riguarda il filone cognitivo-comportamentale (quindi anche l’Aba) e, comunque, per mancanza di risorse quanto dettato dal testo non viene garantito”. Insomma, facendo un quadro della situazione a livello nazionale, non si può neanche dire che il sistema è a macchia di leopardo, perché purtroppo è omogeneo in senso negativo. Cosa può fare, allora, una famiglia con un bambino autistico che voglia provare queste terapie? “È il privato che garantisce queste opportunità – racconta la presidente di Angsa Emilia Romagna. E parliamo di cifre che arrivano alle 70 euro l’ora”. Non tutti possono permetterselo. Il rischio è quindi quello di lasciare nel proprio isolamento chi ha invece bisogno di comunicare.

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