Se monsignor Carlo Maria Viganò fosse stato nominato cardinale da Papa Francesco avrebbe scritto un durissimo atto di accusa contro Bergoglio chiedendone perfino le dimissioni? La domanda è più che legittima visto che quando, nel 2012, scoppiò lo scandalo Vatileaks 1 con la pubblicazione di alcuni documenti riservati di Benedetto XVI passati ai giornalisti dal suo maggiordomo, Paolo Gabriele, emerse proprio che Viganò era profondamente deluso per non essere diventato cardinale presidente del governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Delusione che, con l’elezione di Bergoglio, un Papa latinoamericano, si era tramutata nella speranza che quella porpora sarebbe finalmente arrivata per Viganò mandato, intanto, da Ratzinger nunzio a Washington.

Il durissimo atto di accusa del diplomatico vaticano rischia di diventare un vero e proprio “manifesto” di tutti coloro che nelle gerarchie ecclesiastiche sperano di archiviare presto questo pontificato. Il gesto del nunzio, infatti, rischia di essere emulato da quanti, cardinali e vescovi, coltivano una forte avversione verso Francesco e le sue scelte di governo. Viganò ormai non può più tornare indietro e può, dunque, diventare il regista di questi attacchi contro Bergoglio.

Molto fragile, per non dire goffa, è stata la campagna pro Papa messa subito in atto da coloro che, da tempo, si sono autonominati portavoce papali. Addirittura cercando di edulcorare le gravissime accuse di Viganò sostenendo che, nel 2013, Bergoglio sarebbe stato informato da lui soltanto, per usare un eufemismo, di abusi sessuali su maggiorenni da parte dell’ex cardinale di Washington Theodore McCarrick. Quasi come se già questi non fossero dei crimini gravissimi per lo più compiuti da uno dei massimi esponenti della Chiesa negli Stati Uniti. Tra l’altro nella sua lunga denuncia Viganò non precisa se abbia detto a Francesco che McCarrick era pedofilo come poi è emerso con chiarezza recentemente.

Ma il Papa non lo si difende certamente così. Lui stesso con i giornalisti che gli chiedevano un commento ha tagliato corto: “Leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da se stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così”.

Una risposta che ancora una volta ha dimostrato il grande equilibrio di Francesco che sul tema del contrasto alla pedofilia non deve prendere lezioni da nessuno. In oltre cinque anni di pontificato i suoi gesti, prima ancora delle sue parole, hanno reso sempre più concreta la linea della tolleranza zero sugli abusi sessuali su minori da parte di preti, vescovi e cardinali. Con una lunga e importante serie di mea culpa, come avvenuto anche durante il recente viaggio in Irlanda, e di incontri con le vittime dai quali il Papa ha tratto, come lui stesso ha affermato, tanti preziosi insegnamenti per il futuro.

Fa di certo molta tenerezza chi fino a ieri lodava gli “innegabili risultati di moralizzazione” attuati da monsignor Viganò e oggi lo condanna con estrema durezza. Il curriculum ecclesiastico del nunzio è di tutto rispetto e il giudizio che tanti suoi colleghi hanno sempre avuto di lui non è mai stato negativo. Anche quando, nel 2012, entrò violentemente in contrasto con l’allora Segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone. Nelle sue pagine c’è sicuramente tanto rancore, forse anche un sentimento di vendetta per non aver visto riconosciuti i suoi meriti e il suo servizio alla Santa Sede come avrebbe voluto. Ma c’è anche tanta sofferenza perché è difficile credere che un nunzio apostolico a 77 anni attacchi il Papa e la Chiesa a cuor leggero.

Chi lo condanna oggi crocifiggendolo nella gogna mediatica ne fa un martire più che un traditore. E ignora, o fa finta di ignorare, che Viganò ha almeno avuto il coraggio di metterci la faccia. Tanti cardinali e vescovi la pensano molto peggio di lui, ma si chinano ipocritamente a baciare la mano del Papa. Non a caso Francesco ha sempre ribadito che più che gli oppositori teme gli adulatori. Il rischio concreto è che la denuncia del nunzio sia l’inizio di Vatileaks 3, dopo la seconda edizione andata in onda proprio durante il pontificato di Bergoglio, nel 2015, con la pubblicazione di numerosi documenti riservati sulle finanze vaticane. Ma il Papa continuerà serenamente la sua opera di riforme. Nonostante gli oppositori e soprattutto gli adulatori.

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