Nel marzo del 1963 Coltrane si divideva tra live e registrazioni. La sera suonava fisso al Birdland, sulla cinquantaduesima strada, e di giorno registrava dischi. Il 6 marzo di quell’anno, con il suo sax, entrò nei mitici Van Gelder Studios insieme a McCoy Tyner al piano, Jimmy Garrison al contrabbasso e Elvin Jones alla batteria. Lo stesso gruppo con cui un anno dopo registrò il capolavoro A love supreme. Era il Classic Quartet e quel giorno insieme registrarono un intero disco. Finite le sessioni, Coltrane si portò i nastri a casa e lì sono rimasti, intatti, per cinquantaquattro anni fino a quando la Impulse!, storica etichetta di free jazz, non ha chiesto alla famiglia di poterlo dare alle stampe.

Un album perduto e ora pubblicato dopo 55 anni. Definito il santo gral del jazz, Both Directions at Once: The Lost Album, contiene tra l’altro One Up, One Down (suonata solo dal vivo) e due brani originali mai ascoltati, Untitled Original 11383 e Untitled Original 11386, dove Coltrane vola leggero e sensuale con il suo il sax soprano. Uno strumento che gli fece conoscere Miles Davis nel 1960 e che Coltrane reiventò registrando nel 1961 My favourite things.

Per il sassofonista Sonny Rollins: “È stato come trovare una nuova stanza nella Grande Piramide”. Mentre per il “nero a metà” James Senese: “È uno dei tanti dischi che si registrano e si mettono da parte, esperimenti in cui si evince tutta la sua tecnica ma non ancora la sua espressione”. Daniele Sepe, dopo aver ascoltato l’inedito, non ha dubbi: “Magnifico come tutto quello che faceva Coltrane. Ancora oggi a cinqunant’anni dalla sua scomparsa i giovani sassofonisti fanno riferimento a lui per quanto riguarda il suono e il fraseggio.” Per Enzo Avitabile invece: “Non stiamo parlando di un disco capolavoro, non è meditativo come A love supreme o Ascension e nemmeno travolgente come Jant Step, ma è comunque sempre lui con il suo linguaggio introspettivo e intimistico. Un’altra pietra miliare della musica e del jazz, perché Coltrane è la libertà del linguaggio in un momento storico in cui c’erano dei punti di riferimento già troppo storicizzati”.

Era convinto di avere una missione, disse Miles David, e questo disco catapultato nell’epoca dei social sembra un altro segnale divino di un uomo diventato leggenda. Un suono che ritorna al futuro. Aveva 40 anni quando morì allo Huntington Hospital di Long Island, per un tumore al fegato. Il 17 luglio  sono  51 anni dalla sua morte. Nonostante la sua brevissima vita ha cambiato per sempre la musica jazz. Con il suono del suo sax ha domato, finché ha potuto, i demoni dell’eroina e dell’alcol facendo innamorare gli dei. La sua morte fece smarrire la scena jazz americana e addirittura una congregazione religiosa di San Francisco cominciò ad adorarlo come un dio, per poi ‘retrocederlo’ a santo e la St. John Coltrane African Orthodox Church esiste ancora oggi. E questo disco sembra un suo segno per ricordare all’umanità cos’era e cos’è la musica.

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