Vladimir Putin alza le tasse governative per i passaporti e le patenti, dovranno pure recuperare da qualche parte i cospicui investimenti per il Mondiale. Intanto, gustatevi queste pillole twittate dopo l’accanito e interminabile ottavo di finale Inghilterra-Colombia:

“Bacca e Uribe, meglio che non pigliate l’aereo che vi riporta in Colombia”, è l’avviso di tale @ZaneSebapadi. Mateus Uribe ha colpito la traversa, Carlos Bacca si è fatto parare il suo tiro da Jordan Pickford. Sbagliando, hanno causato l’eliminazione della squadra sudamericana. Che sia dunque eliminato Uribe. Anzi, che sia ucciso appena mette piede in Colombia, minaccia @Contranova.

Pochi ricordano che due giorni fa, il 2 luglio, ricorrevano 24 anni dall’uccisione del difensore colombiano Andrés Escobar, crivellato di proiettili mentre usciva da un ristorante di Medellin dove aveva cenato. Lo circondò al parcheggio del locale un gruppo di uomini che cominciarono a insultarlo per il suo autogol nella partita della Colombia con gli Stati Uniti finita 2 a 1 per i padroni di casa, costata l’esclusione dei sudamericani. I tipi passarono dalle parole alle pistole. Gli scaricarono addosso dodici colpi. Escobar aveva 27 anni. Giocava nell’Atletico Nacional ed era considerato tra i migliori della nazionale. In verità, la Colombia aveva giocato male fin dal primo minuto di quel Mondiale negli States: perse con la Romania 3 a 0. Con gli Stati Uniti l’undici colombiano parve svogliato, la testa altrove.

Poi, si scoprì perché. Li avevano spaventati a morte. Alle 11 del mattino del 22 giugno, cinque ore prima dell’incontro con gli statunitensi, nell’hotel di Fullerton dove alloggiavano i colombiani era piombato un fax anonimo: “Se Gomez gioca faremo saltare in aria la sua casa e quella del ct Maturana”. Gabriel Gomez, il centrocampista, non fu infatti schierato. Il veterano (34 anni) era stato indicato dalla stampa del suo Paese come il responsabile della disfatta coi romeni. Di lui scrissero che giocava solo perché era un favorito, visto che il fratello di Gomez era il vice di Francisco Maturana. Mettevano sotto accusa il “clan” calcistico di Medellin. Protetto dal cartello di Medellin, foraggiatore del calcio locale.

Calcio e narcos, intrecci complessi, evidenti. In quel periodo, la guerra tra i cartelli era tracimata negli stadi. Il calcio, per loro, era fertile terreno di conquista. Pablo Escobar, il signore del cartello di Medellin, aveva contribuito non poco a rendere il suo club, l’Atletico Nacional, uno dei più competitivi di tutto il Sudamerica, tanto che fu la prima squadra colombiana vincere la Copa Libertadores, la Champions sudamericana. Come ricordano i tifosi rossoneri, perché il Milan stellare degli olandesi di Arrigo Sacchi lo affrontò nel 1989 a Tokyo in una finale di Coppa Intercontinentale e fu solo ai supplementari che i colombiani si piegarono al gol in extremis di Alberico Evani, al 119°. In quella partita, Escobar fu il migliore della sua squadra.

Col declino dell’Escobar (inteso come re della droga), il cartello rivale di Cali prese il sopravvento anche nel calcio. Nel 1992 un movimento chiamato LiFuCol (Limpieza Futbol Colombiano, pulizia del calcio nazionale) a quanto pare legato al cartello di Cali, aveva minacciato di morte Maturana, il ct della nazionale, se avesse convocato giocatori della regione di Medellin. Quale fosse il clima dell’ambiente, lo dimostrano un sacco di episodi drammatici. Nel 1990, per esempio, gli arbitri scesero in sciopero, dopo l’uccisione di uno di loro che si era rifiutato di accomodare una partita. Nel 1994, ci fu il rapimento del figlio di Luis Fernando Herrera, nazionale e popolare giocatore dell’Atletico Nacional di Medellin, tre mesi prima che cominciasse il mondiale Usa 1994. L’intimidazione era lo strumento più diffuso per determinare risultati e fortune dei club.

In questo truculento contesto, Andrés Escobar fu vittima di un clan di scommettitori che avevano puntato cifre enormi sulla qualificazione della Colombia agli ottavi. Ma l’inchiesta fu manipolata. E i giudici condannarono alla fine Humberto Munoz Castro, ex guardia del corpo. Beccò 43 anni e 5 mesi perché riconosciuto come unico killer di Escobar. A parte le numerose inverosimiglianze, le contraddizioni dei testimoni e i vari depistaggi, sul caso calò il sipario. Si era ridotto tutto a un fatto di cronaca, apparentemente estraneo agli intrecci del narcotraffico e al mondo delle scommesse. Un verdetto per sbianchettare il mondo corrotto del calcio colombiano.

Così vanno le cose, dietro certe quinte del football, che non sempre è il gioco più bello del mondo. Lo vorremmo, tuttavia spesso non lo è. Ora, il calcio Mondiale riposa due giorni. Il calciomercato, invece, è scatenato. Fa notizia su tutti i media russi l’affare Cristiano Ronaldo alla Juventus: “Forse. Però… chissà se è possibile… il progetto è ardito, qualcosa come 340 milioni di euro. Un trasferimento da record mondiale”. Di fatto, per oggi, Torino soffia a Mosca la pole position dell’interesse calcistico. La capitale piemontese relega quella russa a comprimaria: il che secca abbastanza a Putin, che sul calcio per rilanciare l’immagine sua e della Russia ha puntato molto e speso di più (almeno 13 miliardi di dollari). “Le vittorie del calcio aiutano a stimolare l’autostima collettiva”, induce cioè una sorta di “riabilitazione psicologica della nazione”, spiega Olga Romanova, fondatrice dell’associazione Russia imprigionata (aiuta i prigionieri politici e chi è vittima di accuse false). In un video di Telekanal ost/West (P.s. comments in lingua russa) che dura quattro minuti racconta come la propaganda del fascismo, del nazismo, del comunismo e delle dittature hanno sfruttato il calcio per consolidare i loro regimi.

Il Mondiale russo – purtroppo per il Cremlino – si conclude tra 11 giorni. Il calcio vero, invece, non smette mai. Come dimostra appunto la nuova telecalcionovela dell’estate, quella con protagonista Ronaldo e la Juventus. I siti russi, come quelli del resto del mondo, si chiedono: ha davvero la Juve le capacità finanziarie per sostenere questa sfida? Il Real Madrid cederà Ronaldo che in fatto di marketing è una gallina dalle uova d’oro? Può permettersi il club degli Agnelli di offrire 120 milioni di ingaggio per quattro anni, senza far saltare i delicati equilibri (retributivi) dello spogliatoio? Il monte stipendi della Juve non è poi così tanto lontano da quella cifra.

A proposito di cifre. Il sito The Bell ha calcolato che il volume di scommesse sul Mondiale (il dato riguarda le puntate nelle sale russe) supererà quota 300 miliardi di rubli, cioè 4, 7 miliardi di dollari. Rispetto al campionato europeo del 2016, afferma Alexander Egorov, vice direttore della Bell russa (La Lega delle scommesse) il volume degli importi è cresciuto di cinque volte. In ballo, dunque – e anche quindi – ci sono un fracco di quattrini. E non solo quelli delle scommesse o di Ronaldo.

Il Mondiale è una vetrina di prestigio per ognuno dei 736 giocatori che sono arrivati a Russia 2018. Di essi, ben 349 arrivano dai cinque campionati più importanti del mondo: Inghilterra (102 calciatori), Spagna (80), Germania (62), Italia (58), Francia (47). In dettaglio, sono 16 le squadre italiane che hanno contribuito al Mondiale: la Juventus ovviamente spadroneggia (11 calciatori), seguita a distanza dal Napoli (6), da Milan e Sampdoria (5), da Bologna, Inter e Torino (4), da Roma e Udinese (3), da Atalanta, Crotone (!), Fiorentina, Genoa, Lazio e Spal (2), dal Verona (1). Metà di questi “italiani al Mondiale” pare stiano cambiando casacca, alcuni meditano addirittura la fuga, soprattutto i milanisti sconcertati dal fatto che la squadra rossonera è stata penalizzata dalla Uefa e non potrà partecipare alle Coppe per un anno.

Insomma, un turbinio di scambi, cessioni, acquisti accompagna queste ultime frenetiche giornate mondiali. Come, nel suo piccolo, l’ingaggio del 34 videomaker Hannes Thor Halldorsson che ha difeso la porta della nazionale islandese e che è stato definito il portiere più simpatico del torneo. Ha parato persino un rigore a Lionel Messi (“Un sogno esserci riuscito”) divenendo l’uomo della partita Argentina-Islanda. Di colpo le sue quotazioni sono salite, sebbene a cifre non paragonabili a quelle che percepiscono i suoi colleghi europei di prima fascia: ha accettato di trasferirsi dai Randers al Qarabag dell’Azerbajan.

A domani. Raccomando ai tifosi in trasferta a Samara di fare la doccia in due, per risparmiare l’acqua durante i Mondiali. La siccità è spietata, l’acqua del Volga non basta. L’appello, rivolto ai cittadini, è del sindaco (fonte, è il caso di dire, samcomsys.ru).

Articolo Precedente

Mondiali 2018 / Matrioska – Per fortuna che Pardo c’è. Tra Stalin e D’Annunzio, la sua epica del racconto scaccia il pisolino

next
Articolo Successivo

Mondiali 2018, due tifose russe baciano un reporter durante la diretta tv. E lui reagisce così

next