Complimenti al Miur. Anche quest’anno le tracce proposte per la maturità sono belle. Sono interessanti. Suggeriscono spunti di riflessione. Propongono temi per nulla banali. Invitano a riflettere sulla contemporaneità, partendo dal passato. E’ il caso delle persecuzioni razziali ne “Il giardino dei Finzi Contini” capolavoro di Giorgio Bassani, a 80 anni dall’emanazione delle leggi razziali. E’ il caso del principio dell’uguaglianza nella Costituzione italiana, di cui ricorrono i 70 anni, ma anche della Cooperazione internazionale per il tema storico, con un focus sugli statisti Alcide De Gasperi e Aldo Moro, a 40 anni dal rapimento e dall’uccisione dell’esponente della Dc. E’ il caso, soprattutto, del saggio breve nell’ambito artistico-letterario. La solitudine nell’arte e nella letteratura, utilizzando come stimolo alla riflessione i quadri di Edward Hopper, Giovanni Fattori e Edvard Munch, i testi di Francesco Petrarca e Luigi Pirandello, le poesie di Salvatore Quasimodo, Alda Merini, Emily Dickinson.

Belli gli altri temi, bellissimo questo. Occasione per riflettere, per costruire un pensiero articolato, che partendo dai documenti artistico-letterari, dimostri la capacità di dialogare con se stessi. Disegni nel tempo una condizione di sempre. Uno spettro e un angelo del vivere, insieme. Un tema che in molti, tra gli adulti, avrebbero voluto svolgere. Un tema che anche io avrei scelto di fare, oggi. Già, oggi. Con gli occhi di un “pienamente adulto” che ha potuto leggere e studiare decisamente molto. Con la lente di certo viziata dalla vita vissuta. Ma il problema è che quel tema non l’abbiamo fatto noi, ma loro, i maturandi del 2018.

Il problema, temo, è che a svolgere quella traccia siano stati ragazzi che ben poco sapevano della solitudine proposta dal Miur. Quella suggerita dagli allegati. Insomma quella del brano di Petrarca del “De vita solitaria”, di Pirandello di “Uno, nessuno e centomila”, di Quasimodo di “Ed è subito sera”, di Merini di “Piccoli canti” e di Dickinson di “Ha una sua solitudine lo spazio”. Quasimodo a parte, non so quanti tra i ragazzi che hanno affrontato la prima prova della maturità, sapessero qualcosa che andasse al di là del sentito dire tra le opere degli altri autori proposti. Il Petrarca del trattato in latino sarebbe nel programma del primo anno, ma non mi risulta che generalmente le antologie ne riportino brani. In quanto a Pirandello, spesso la lettura di uno dei suoi romanzi e delle sue opere teatrali, è lasciato dagli insegnanti tra i compiti a casa.

Lettura da farsi durante le festività natalizie oppure, più spesso quelle, estive. Se quindi è probabile che il Petrarca e il Pirandello proposto dal Miur fossero non molto noti agli studenti, è più che probabile che quasi ignoti fossero Alda Merini e Emily Dickenson. Lo fossero le loro liriche. I programmi non contemplano il loro studio. Non ci si può arrivare, neppure facendo dolorose scelte. Insomma “procedendo a tagli” sugli autori che le precedono.

Dai riferimenti letterari a quelli artistici non cambia molto, a parte, Edvard Munch. Se il pittore norvegese, identificato da molti nella sua opera più celebre, “L’urlo”, non è solo un nome della storia dell’arte tra Ottocento e Novecento, altrettanto non può dirsi per Edward Hopper e Giovanni Fattori. I maturandi del 2018, la gran parte di loro, se ne sanno dell’esistenza non ne conoscono i caratteri delle opere. Non sanno che Hopper è celebre soprattutto per i suoi ritratti della solitudine nella vita americana contemporanea. Non sanno che Fattori è uno dei più sensibili esponenti del movimento dei Macchiaioli. Non sanno perché non possono. Semplicemente perché se questi autori li hanno incontrati nei loro studi, lo hanno fatto quasi incidentalmente.
Quindi la riflessione sulla solitudine è sostanzialmente privata degli spunti forniti dal Miur. Il motivo è uno.

Perché quegli spunti risultano sostanzialmente ignoti. Insomma, muti. Inservibili. Rimane il tema, la solitudine. Forse sarebbe più proprio dire che rimarrebbe. Già perché la solitudine non appartiene alla gran parte dei ragazzi. Anzi, ne è una condizione, ma talmente temuta da essere scacciata. La solitudine fa paura. Spaventa i ragazzi e terrorizza i loro genitori che spesso s’ingegnano a trovare occasioni che ne occupino il tempo e i pensieri. Con queste premesse è evidente che la riflessione sul tema per molti sarà stato un esercizio nuovo. Un incontro quasi inaspettato.“La solitudine non è mica una follia è indispensabile per star bene in compagnia”, cantava nel 1976 Giorgio Gaber. Ecco cosa avrebbe dovuto essere la solitudine per i ragazzi che ne hanno scritto. Una compagna. L’ “amata solitudine, isola benedetta”, della canzone di Franco Battiato.

L’inscindibile condizione per raggiungere la libertà, come sosteneva Sartre ne “La Nausea”. Invece il tema rischia di tramutarsi in una occasione mancata. Piuttosto che un viaggio nelle proprie conoscenze ed una sortita tra sentimenti cresciuti nel tempo, un’anonima incursione in un terreno ignoto. Insomma una promessa non mantenuta. Una promessa avviata dal “Tramonto sul mare” di Fattori e terminata con “La solitudine” di Laura Pausini.

Al Miur anche quest’anno hanno prodotto delle belle tracce. Peccato che, probabilmente per quelle in comune, certamente per quella di ambito artistico-letterario, non abbiano fatto i conti con la realtà. Non abbiano tenuto conto dei programmi svolti. Non si siano resi conto che i maturandi del 2018 sono diversi da quelli di trenta anni fa. Così alla fine la sensazione è che al Miur sappiano ben poco di come sia la scuola, nelle classi. Altrimenti non rimarrebbe da pensare che quelle tracce siano state uno sfoggio di bravura da parte del Ministero. Uno sfoggio, inutile.

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