Cinema

La Melodie, ecco perché ci siamo innamorati in un amen di questo film

Non ce li toglieremo facilmente dagli occhi e dall’anima i primi piani di queste facce colorate di bambini che imparano a suonare il violino in una scuoletta un po’ sgangherata e periferica di Parigi. L'opera, diretta da Rachid Hami, in sala dal 26 aprile

di Davide Turrini

Che favola, che poesia, che musica. Ci siamo innamorati in un amen di questo La Melodie, in uscita nelle sale italiane il 26 aprile 2018 grazie a Officine Ubu. Non ce li toglieremo facilmente dagli occhi e dall’anima i primi piani di queste facce colorate di bambini che imparano a suonare il violino in una scuoletta un po’ sgangherata e periferica di Parigi. Un progetto speciale per una classe indisciplinata dove si mescolano origini geografiche, caratteri irrequieti, e amicizie in divenire, con l’obiettivo del saggio finale alla Filarmonica di Parigi. Ad aiutare il professore di musica arriva Simon, un silenzioso e dimesso violinista di pregio (interpretato dalla star francese Kad Merad) che proprio all’inizio non riesce a calibrare quel minimo di disciplina e concentrazione con la strabordante aggressività dei ragazzini. E non per fare paragoni con la cronaca (italiana, perlopiù), ma quando il ragazzino più focoso offende ferocemente il violinista questo non ci pensa due volte a prenderlo per il bavero e ad appenderlo al muro.

I classici contrasti individuali, il gruppetto orientato dal bullo, qualche sguardo tra maschi e femmine, ma soprattutto l’innocenza sincera e pura di Abou (Youssouf Gueye), bambino cicciottello che sbircia di nascosto dal vetro i compagni che imparano a suonare e vuole starci anche lui. Ovvio, Abou è un talento, ma non ci sono sapientini da esaltare. Il ragazzino piange, invece, la misteriosa assenza del padre mai conosciuto, poi fugge sui tetti altissimi di Parigi e suona le corde del suo violino come un gatto solitario per non essere ascoltato da nessuno. Simon che oltretutto appare come svuotato dagli stimoli e dall’energia di una carriera ad alto livello, nel tenace e dolce esserci di Abou ritrova uno spiraglio per tramandare conoscenza e desiderio di integrazione oltre ogni differenza a tutto il gruppo di neo musicisti.

Il regista Rachid Hami semplicemente non sbaglia un colpo. Ha una storia densa e toccante da raccontare, ha in mano la bomba dell’adolescenza, e il rischioso cliché dell’adulto/insegnante alla professor Keating. E niente: Hami mette in ordine tutti i fattori e lascia perfino che una dose di tecnica e di cura espressiva s’impossessi della sua messa in scena, con una macchina da presa spesso a mano dentro interni impervi con violini stridenti, e una vivacità nell’aprirsi e cogliere la naturalezza di bimbi ed adulti. Il messaggio che arriva forte e chiaro, quando si è tutti imbestialiti (non diciamo di certo a torto, ci mancherebbe) dalla quotidianità del caos, è che solo in gruppo, insieme, creando una comunità con ruoli definiti e rispetto dell’altro, proprio come in un’orchestra, si possono superare gli ostacoli della vita e si può persino sognare.

Diteci voi, allora, nell’annosa querelle tra cinema d’autore e popolare/commerciale, che cosa deve fare un film se non farci sognare per un attimo? Merad, solitamente comico di grana grossa ad interpretare i più grandi successi della commedia francese degli ultimi vent’anni (ricordate Giù al Nord?), è qui insolitamente cupo e a tratti perfino sinistro, in questa sua tutta interiore dolorosa ricerca di nuova linfa per continuare a sperare nella vita. Sequenza da incorniciare per semplicità e destrezza nello stare oltre la media dei simbolismi telefonati: prima di salire sul palco della Filarmonica i ragazzi finalmente uniti si fermano per alcuni interminabili attimi in un tunnel. La scena è invasa da una luce blu. Figure intere di spalle, primi pian di tre quarti, dettagli, ancora primi piani. Un colore solo e neutro dove si sciolgono i singoli colori della pelle dei ragazzi, e si fondono tutte le speranze di un sorriso oltre le lacrime. Finalmente.

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